Alitalia, il governo tira dritto: «Il piano Cimoli non si tocca»

No al cambio dei manager. Maroni: «I picchetti portano al fallimento, persi 10 milioni al giorno»

Gian Maria De Francesco

da Roma

L’incontro di ieri tra governo e sindacati sulla vertenza Alitalia ha visto la prevalenza della linea dettata dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. «Con il piano di ristrutturazione presentato dall’ottimo Cimoli, Alitalia può andare bene e produrre utili», ha dichiarato il premier aggiungendo che «i cittadini devono sapere che se bivaccano in aeroporto la colpa è dei sindacati della sinistra».
E al tavolo di Palazzo Chigi l’orientamento di difesa dello status quo manageriale ha trovato espressione nel ministro del Lavoro, Roberto Maroni, considerato che il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non ha partecipato al dibattito per non incorrere in eventuali violazioni della nuova normativa sul market abuse in quanto azionista di riferimento della società. «I dati dimostrano che l’azione del governo per salvare Alitalia è stata ed è efficace», ha ribadito l’esponente leghista nel corso del question time alla Camera sottolineando che è stato fatto più di quel che si doveva con il decreto sui requisiti di sistema e con l’istituzione di un fondo per i lavoratori.
Le difficoltà sono nate in seguito alle agitazioni delle rappresentanze dei lavoratori. «Il sindacato - ha spiegato Maroni - non accetta questa operazione di divisione dell’Alitalia (lo scorporo dei servizi dalle attività di volo, ndr) per ragioni interne alla rappresentanza sindacale che nulla hanno a che vedere con la compagnia». Il governo, ha proseguito il ministro, non può intervenire sui picchettaggi «se non denunciando il rischio che queste azioni portino a breve al fallimento della società». Quattro giorni di scioperi, a 10 milioni di euro di perdite al giorno, sono costati di più dei 39 milioni di perdita operativa di Alitalia nei primi nove mesi del 2005.
Da queste posizioni decise è emersa la riconferma «del ruolo e dell’importanza di Alitalia nell’economia del Paese». Il governo si è fatto garante dell’attuazione del piano industriale oltreché della ripresa delle relazioni industriali. La convocazione dell’azienda e dei sindacati a Palazzo Chigi mercoledì prossimo si iscrive tutta in quest’azione volta a non disperdere il patrimonio di credibilità riguadagnato nei confronti dell’Ue e dei mercati finanziari che, alla peggio, potrebbero togliere il sostegno ad Alitalia.
«Sono certo che tutti faranno la loro parte per ristabilire un corretto rapporto di relazioni sindacali. E i primi a beneficiarne saranno i passeggeri», ha detto il ministro dei Trasporti, Pietro Lunardi. Il ministro delle Attività produttive, Claudio Scajola, ha ricordato che i sindacati «hanno illustrato la loro condivisione del piano industriale firmato». Insomma, le condizioni per far ripartire l’azienda ci sono tutte a meno che, come paventato dallo stesso premier, non ci siano fini elettorali dietro le proteste.
Tra oggi e domani, comunque, i componenti dell’esecutivo si consulteranno per decidere l’opportunità di convincere il management a una qualche rimodulazione del piano industriale.

Nella maggioranza, infatti, qualche perplessità su Cimoli & C. persiste tanto è vero che Bruno Tabacci dell’Udc ha rilevato che «servirebbe un Bondi, come per Parmalat». Lo stato di Alitalia, però, non è paragonabile a quello del gruppo di Collecchio.

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