Alitalia non ce la fa: anche il 2006 in rosso

In lieve aumento i passeggeri (più 3,1%), ma in calo il ricavo medio (meno 1,5%)

Paolo Stefanato

da Milano

A pagina 47 del piano industriale dell’Alitalia presentato ai sindacati il 6 settembre del 2004, c’era solo una laconica previsione: «Pareggio previsto per fine 2006». Il presidente e ad della compagnia, Giancarlo Cimoli, in seguito si era spinto a promettere addirittura il ritorno all’utile. Ieri è venuta la doccia fredda ufficiale, ampiamente prevista. Alitalia chiuderà il 2006 con un risultato netto vicino a quello del 2005; e cioè con una perdita intorno ai 160 milioni. Nei tre esercizi dal 2004 l’Alitalia avrà così bruciato esattamente quel miliardo che meno di un anno fa le è stato versato sotto forma di aumento di capitale; e che giace ancora in gran parte inutilizzato, rosicchiato qua e là dalle necessità che corrono. Senza un reale risanamento, si allontanano anche i progetti di una forte alleanza internazionale.
Vediamo rapidamente i conti al 30 giugno: leggero aumento dei ricavi del traffico (a 2.043 milioni, più 2,8%); risultato operativo negativo di 132 milioni, risultato netto negativo di 221 milioni (peggiorato di 97 sul primo semestre 2005); leggera crescita dei passeggeri (11,7 milioni, più 3,1%); ma calo del provento unitario, inferiore dell’1,5%. La compagnia attribuisce al costo del petrolio, alla pressione della concorrenza low cost, agli scioperi di gennaio un risultato così sconfortante. Nelle scorse settimane, peraltro, è stata annunciata una revisione del piano industriale con l’obiettivo di ricercare nuove efficienze. La compagnia prevede un risultato sia operativo che netto positivi per il secondo semestre, che tuttavia non basteranno a riequilibrare i pessimi conti del primo; Cimoli intende vendere alcuni terreni a Fiumicino entro l’anno, per contabilizzarli nell’esercizio. Una società, tuttavia, non si risana con le poste straordinarie.
È vero che il petrolio ha avuto un’ulteriore impennata del 30% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con un costo complessivo di 471milioni e un aggravio di 107 milioni. Ma la compagnia, che al petrolio - causa oggettiva - ha attribuito tante delle sue sventure, con le risorse dell’aumento ha acceso costose assicurazioni che avrebbe dovuto difenderla; ma la quantità protetta è pari al 50%, e il costo del greggio è stato previsto a 60 dollari per il 2006. Ieri, dopo le recenti fiammate, quotava 63. Quanto agli scioperi, è vero che il contesto sindacale dell’Alitalia resta molto conflittuale, e che l’azienda (49% del Tesoro) rispecchia ancora logiche politiche e ne subisce il clima; ma è pur vero che lo scorporo dei servizi è stato fatto, e che il personale è ormai ridotto alla metà. Cosa che dovrebbe facilitare anche un miglioramento delle relazioni (ma anche ieri il sindacato ha minacciato nuove azioni). Che il ricavo unitario scenda, poi, è indice di politiche commerciali non redditizie; e sulle politiche commerciali si fonda il successo di una compagnia.

Ieri si è appreso che da fine settembre Alitalia cancellerà il Malpensa-Washington, l’unico collegamento diretto dall’Italia con la capitale americana. L’aereo vola pieno ma non rende. Chi viaggia ora dovrà fare scalo a Parigi, Francoforte o Londra. Sarà questo il futuro?

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