All’asta le lettere di Benito alla sorella

È forse il più vasto insieme di documenti mussoliniani mai apparso all’incanto, quello che verrà venduto la mattina del 6 dicembre dalla casa d’aste inglese Bloomsbury nella sua sede romana di Palazzo Colonna in via della Pilotta 18. Si tratta del carteggio di Benito Mussolini con la sorella minore Edvige, una grande raccolta epistolare che copre un arco di tempo dal 1915 al 1943: 62 autografi del Duce, fra lettere, cartoline, telegrammi, tutti indirizzati a Edvige, oltre a foto inedite e documenti vari come il certificato di battesimo di entrambi (se il padre Alessandro era ateo, la madre di Mussolini, Rosa Maltoni, era fervente cattolica), l’estratto di nascita, matrimonio e morte di Benito, la carta di identità di Edvige.
Solo in parte conosciuto dagli storici, perché a lungo conservato gelosamente da Edvige, il carteggio potrà aggiungere nuovi particolari sui rapporti familiari del capo del fascismo. Se il fratello Arnaldo fu, fino alla morte nel 1931, il suo più fidato collaboratore, Edvige fu la confidente prediletta, la sola depositaria dei suoi affanni più segreti e delle memorie della famiglia. In un’affettuosa lettera, successiva alla morte di Arnaldo, le scrive: «Oggi è tristemente vero: siamo noi due soli del vecchio ceppo. Ora io ti propongo di portare le tue tende a Roma, vicino a me... Passeremo insieme un po’ di quel tempo che ci resta da vivere».
Malinconico risvolto dell’uomo acclamato che in quegli anni stava raccogliendo il massimo del consenso. Ben altro tono in scritti precedenti, come nella cartolina spedita dalla Svizzera il 13 novembre 1914: «Sono venuto per un giorno in Svizzera per trattare l’affare della pubblicità colla casa Haasensteine Vogler. Forse si farà qualche cosa. Ad ogni modo, come avrai visto dai giornali, domenica prossima uscirà il Popolo d’Italia. C’è molta attesa. Tu conosci le mie idee. È ora di finirla con questa neutralità imbecille che prolunga all’infinito il massacro e ci farà morire tutti di fame e di vergogna. Un abbraccio dal tuo Benito». Lettera illuminante sulla conversione all’interventismo dell’ex neutralista, sulla febbrile vigilia della nascita del Popolo d’Italia e sull’affannosa ricerca di finanziamenti per il nuovo quotidiano.
Il carteggio non si interruppe neppure quando Benito andò al fronte e fu ferito dallo scoppio di un mortaio e proseguì nel dopoguerra quando il fondatore dei Fasci di combattimento confidava alla sorella non soltanto le sue battaglie politiche ma anche, per esempio, le ambasce provocategli dalla persecuzione di Ida Dalser, amante abbandonata e madre di un suo figlio, che andava a fare scenate all’ignara compagna di Mussolini, Rachele Guidi, anche lei già madre della prima figlia di Benito, Edda. Il legame con la sorella rimane stretto anche dopo la crisi del 25 luglio 1943, a lei scrive appena liberato dal Gran Sasso. Poi le lettere si interrompono.

Edvige, che aveva sposato Michele Mancini di Premilcuore (Forlì) fu duramente colpita dalla guerra civile: suo figlio Giuseppe Mancini, ventenne, fu ucciso nella strage di Rovetta (28 aprile 1945), in cui vennero massacrati 43 militi della Legione «Tagliamento» arresisi alle forze partigiane. Giuseppe, detto Pino, assiste alla morte dei commilitoni e fu ucciso per ultimo. Nel 1957 Edvige pubblico il libro Mio fratello Benito.

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