Allarme caldaie, 25mila romani al freddo

Stefania Scarpa

Roma sta conoscendo il novembre più freddo degli ultimi quindici anni e 25mila romani lo stanno affrontando senza riscaldamento in casa. Sono gli inquilini dei tanti palazzi che avevano la caldaia a carbone e che, per colpa di amministratori distratti, imprese ritardatarie e intoppi burocratici, non si sono ancora messi in regola con il divieto dell’uso del carbone come combustibile per riscaldamento, sancito da un decreto del Consiglio dei ministri del 2002 ed entrato in vigore lo scorso 1° settembre.
Un problema grave, che sta costringendo molte famiglie dei municipi I, II, III, IX, XVII, nella città storica, a riscaldarsi con mezzi di fortuna: antieconomiche stufette elettriche, antidiluviane coperte e tazzone di latte e cognac. Non certo il modo migliore per affrontare i rigori dell’inverno, soprattutto quando in famiglia ci sono elementi più deboli come bambini, anziani e malati.
Secondo le stime dell’Acea, a Roma, i palazzi con caldaie a carbone sono 830 e vi abitano complessivamente 50mila persone, ma oggi, all’arrivo dei primi freddi, risulterebbero almeno la metà quelli i cui amministratori non hanno provveduto all’adeguamento dell’impianto. L’assessore ai Lavori pubblici, Giancarlo D’Alessandro, dopo aver ricordato che il Campidoglio ha inviato tre lettere nel 2004 agli amministratori per ricordare loro l’adempimento obbligatorio, in modo che i lavori di trasformazione degli impianti si potessero fare durante la stagione estiva, ha dichiarato che non ci saranno proroghe e ha annunciato controlli a tappeto che sono partiti dal primo novembre, per accertare eventuali irregolarità. L’Acea ha reso noto, nel frattempo, che chi non si è mosso finora «ha una sola alternativa: trasformare la vecchia caldaia in un impianto che possa essere alimentato da combustibili permessi dal decreto». Poiché però la trasformazione richiede un tempo medio di almeno un mese e mezzo, si possono utilizzare invece del carbone alcuni derivati del legno nelle vecchie caldaie, con piccole modifiche al bruciatore, per consentire agli inquilini di potersi riscaldare, mentre si provvede alla necessaria trasformazione dell’impianto. «I contravventori - ricorda una nota dell’Acea - rischiano multe salate e sigilli all’impianto mentre l’amministratore potrebbe incorrere in sanzioni penali». Ma in molti casi gli amministratori di condominio rilanciano la patata bollente all’Italgas, come nel caso di un condominio al numero 15 di via Barzellotti, al Trionfale, dove la ditta appaltatrice ha regolarmente concluso i lavori a fine luglio ma la caldaia non è entrata in funzione perché manca un contatore che l’Italgas è stata più volte sollecitata a installare, senza successo.
Tra i palazzi al freddo ci sono anche alcune case comunali, per le quali lancia l’allarma il capogruppo in consiglio comunale di Liberta e Giustizia Sociale, Donatella Poselli. «È grave - ha osservato - che con l’inizio dell’abbassamento delle temperature interi condomini, dove abitano anche persone anziane e malate bisognose di continue cure al caldo, come le case comunali di via Giovanni Battista Valente gestite dalla società Romeo e dell’Enasarco in via Val Sillaro, cinque sono con i riscaldamenti chiusi o addirittura aperti ma non funzionanti, perché da anni le caldaie sono obsolete.

I centralini delle società interessate - ha proseguito la Poselli - o non rispondono oppure con la scusa del centralismo automatico fanno stare mezz’ora le persone al telefono. Non è più tollerabile: sono cinque anni che in questo periodo chi gestisce il patrimonio immobiliare cura coloro che hanno acquistato la casa e dimentica invece chi paga un affitto».

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