Politica

Allarme del Colle sull’economia «Rischio di proteste violente»

RomaMica è la Cina, la Grecia è vicina, vicinissima. E anche se i nostri conti vanno decisamente meglio, anche se, comunque vada, non saremo costretti a vendere il Colosseo, i tempi sono quelli che sono e qualche lapillo, qualche scintilla dell’incendio ateniese può «riattizzare in Italia focolai non del tutto spenti». Sì, Giorgio Napolitano è preoccupato. Non solo e non tanto dalla situazione finanzaria, che sembra reggere, quanto per un possibile ritorno dell’estremismo di piazza, del «ricorso alla protesta violenta» e del «fanatismo politico». Sarebbe davvero un brutto salto, dice, che ci riporterebbe «indietro di trent’anni».
Dunque, c’è lo spettro del partito armato che aleggia nel Salone dei Corazzieri del Quirinale, mentre il capo dello Stato celebra la «giornata della memoria» dedicata alle vittime del terrorismo. E il fantasma dev’essere piuttosto rumoroso e visibile, il pericolo concreto e reale se Napolitano per descriverlo usa toni accorati: «Guardando ai problemi da affrontare anche in Italia sul terreno sociale ed economico in una fase che è stata e rimane critica per tutta l’Europa, è necessario tenere sempre alta la guardia contro il riattizzarsi di nuove possibili tentazioni di ricorso alla protesta violenta e di focolai, non spenti una volta per tutte, di fanatismo politico e ideologico». Negli occhi del presidente ci sono le immagini di Atene, degli scontri in piazza Sintagma, dei tentativi di assalto al Parlamento ellenico, dei morti in banca, dell’insurrezione contro il piano lacrime e sangue varato dal governo socialista di Papandreu.
E quindi sì, la Grecia è vicina. Napolitano la parola terrorismo non la pronuncia, ma è questo quello che pensa, quando ricorda «gli intrecci torbidi e la deriva ideologica» che hanno appestato la nostra storia recente, è questo a cui allude quando dice che bisogna evitare un’altra «notte della Repubblica». È un allarme forte, sentito: «No alla violenza e alla rottura della legalità in qualsiasi forma: è un imperativo da non trascurare in nessun momento, in funzione della lotta che si combatte, anche con importanti successi, contro la criminalità organizzata, ma più in generale in funzione di uno sviluppo economico, politico e civile degno delle tradizioni democratiche e del ruolo dell’Italia».
E al rischio delle tensioni sociali si aggiunge l’altra spada di Damocle che da qualche anno grava sulle nostre teste: «Dall’esterno - spiega il capo dello Stato - da diverse aree di crisi e di conflitto meno lontane dall’Europa di quanto magari non dica la carta geografica, giungono fino a noi gli echi del più cupo fondamentalismo, del rifiuto di ogni dialogo tollerante e aperto tra sistemi di valori diversi. E arrivano insieme le insidiosissime diramazioni del terrorismo internazionale, al cui contagio il nostro Paese non è esente».
Per tutte queste cose serve allora la «massima attenzione». L’Italia ha già dato, ha «già pagato prezzi altissimi», come dimostra visivamente questa sfilata di figli, di mogli e di padri uccisi dall’odio politico trent’anni fa e che adesso si alternano al microfono. Il 1980, come ricorda Benedetta Tobagi, è stato un anno nero: 36 uccisi da atti di terrorismo individuale, rosso e nero, 85 morti dalla bomba alla stazione di Bologna, 81 vittime della strage di Ustica. E per questa vicenda il presidente ha parole durissime, mai sentite a certi livelli istituzionali: «Intrecci eversivi, forse anche intrighi internazionali, che non possiamo non richiamare, insieme con opacità di comportamenti da parte di corpi dello Stato, a inefficienze di apparati e di interventi deputati all’accertamento della verità».
La cerimonia è triste, la contabilità di quel 1980 deprime, ma c’è un filo di speranza da tenere vivo. «L’Italia - dice ancora Napolitano - corse rischi estremi. Ci dà forza il ricordarlo perché sapemmo uscirne nettamente, pur pagando quei duri prezzi che ho voluto richiamare. Avemmo così la prova di quanto profonde fossero tra gli italiani le riserve di attaccamento alla libertà, alla legalità, ai principi costituzionali della convivenza democratica». Sangue, lutti, perdita di capacità professionali, «un impoverimento della vita civile». Non deve più accadere, conclude commosso il capo dello Stato, che chiede al governo di «sciogliere i nodi che rendono ancora precari i diritti riconosciuti per legge» dei sopravvissuti e dai parenti delle vittime del terrore. «Faremo tutto ciò che è nei nostri poteri - promette il Guardasigilli Angelino Alfano -. Individuerò i rimedi a questa situazione e li presenterò al Consiglio dei ministri.

Prestissimo».

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