Allarme disoccupazione, Borse in frenata

È stata la prima frenata, forte e collettiva, dallo scorso marzo. Forse ispirata dalle cautele espresse dal G8 di Lecce sull’uscita dalla crisi; oppure dal sostegno offerto dalle cifre alla tesi secondo cui l’onda lunga della recessione non si è ancora del tutto scaricata sul mercato del lavoro; o magari anche dalle indicazioni congiunturali arrivate dagli Stati Uniti che segnalano la persistente debolezza dell’economia. Sia come sia, ieri le Borse sono tornate a mostrate la faccia scura, costata all’Europa oltre 100 miliardi di capitalizzazione, tra ribassi compresi tra il 2,61% di Londra e il 3,54% di Francoforte (a Milano -3,01% l’Ftse Mib), e a Wall Street il Dow Jones ha accusato una perdita del 2,1% e il Nasdaq del 2,3%.
Neppure la revisione al rialzo da parte del Fondo monetario internazionale delle stime sul Pil Usa (-2,5% quest’anno contro il -2,8% della previsione precedente, ed espansione 2010 dello 0,75% rispetto alla crescita zero del penultimo outlook) ha permesso di tamponare le perdite. Anche perché dal numero del Fmi, Dominique Strauss-Kahn, non sono venute parole confortanti: «Dobbiamo restare cauti, perché gran parte del peggio è ancora davanti a noi». I «germogli di ripresa» cui avevano fatto riferimento i ministri finanziari durante il summit del week-end nella città salentina, sembrano così aver aver subìto una improvvisa gelata, subito registrata dai mercati. Barack Obama ha del resto parlato ieri di strada «ancora lunga e difficile per tornare alla prosperità», mentre il segretario al Tesoro, Tim Geithner, ha ammesso che la ripresa «sarà più lenta del previsto». Un ruolino di marcia duro, come dimostra la battuta d’arresto dell’indice manifatturiero dell Fed di New York in giugno (da -4,55 a -9,41), tale da porre l’America davanti a «enormi sfide», scandito da un aumento della disoccupazione. Alla crisi, gli Usa hanno già pagato un tributo altissimo in termini di posti di lavoro bruciati: oltre sei milioni dall’inizio della recessione (fine 2007). Oggi i disoccupati superano i 14 milioni.
La persistente debolezza del mercato del lavoro è un fenomeno cui non sfugge neppure l’Europa. Nel primo trimestre, in base ai calcoli di Eurostat, sono andati persi quasi due milioni di posti, di cui 1.220mila nella euro zona. In termini percentuali, l'occupazione ha accusato un calo dello 0,8% sia all’interno di Eurolandia che nell'Ue-27, il doppio rispetto all'ultimo trimestre del 2008. Calo dello 0,8% anche in Italia, dello 0,7% in Francia, rialzo dello 0,1% in Germania, mentre in Spagna c’è stato un tracollo (-6,4%). Nei giorni scorsi la Bce aveva non a caso lanciato l’allarme occupazione, ormai prossima ai livelli Usa (9,2% contro il 9,4% americano), salvo poi ricordare ai governi dell’area l’urgenza di riequilibrare i conti pubblici, notevolmente peggiorati proprio a causa delle misure prese per contrastare la crisi e, dunque, per contenere la disoccupazione.
A preoccupare l’istituto guidato da Jean-Claude Trichet sono però anche le banche.

E le cifre contenute nella Financial Stability Review di giugno certo non possono far piacere alle Borse: secondo il documento, gli istituti dovranno mettere in conto ulteriori potenziali perdite per 283 miliardi di dollari entro fine 2010 a causa delle svalutazioni dei crediti inesigibili. Le svalutazioni complessive nel periodo 2007-2010 «potrebbero ammontare a circa 649 miliardi di dollari», di cui 365 già conteggiati in bilancio.

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