Si scrive immigrazione, ma si legge terrorismo. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi e il suo omologo libico Ashour Bin Khayal quella parola preferiscono non pronunciarla. Preferiscono sostituirla con problematiche consuete e meno allarmanti. E allora ecco la conferenza stampa di ieri a Roma in cui, per la prima volta a sette mesi dalla morte di Muhammar Gheddafi, torna ad aleggiare il fantasma dellimmigrazione.
«Temiamo un peggioramento sul fronte dellimmigrazione clandestina. Vogliamo dare un segnale, un avvertimento, allItalia e alla Ue per affrontare il fenomeno», dichiara Bin Khayal dopo lincontro con il capo della diplomazia italiana. Giulio Terzi gli dà volentieri corda. «Serve un piano urgente dellUnione europea per affrontare il tema dellimmigrazione clandestina né parlerò lunedì a Bruxelles». Lallarme potrebbe sembrare esagerato. Il Paese dalla caduta del regime di Gheddafi è off limits per qualsiasi immigrante africano. Da sette mesi a questa parte chiunque abbia la pelle troppo scura rischia di finire in galera e non uscirne più. Nei centri di detenzioni illegali gestiti da troppe milizie libiche fuori controllo languono migliaia di africani e di libici dalla pelle scura sospettati di aver aiutato il regime sulla base - come denuncia Amnesty International - di semplici motivazioni razziali. Dunque dovè il rischio immigrazione? E perché la Ue, alle prese con il caso Grecia, dovrebbe interessarsene? Per capirlo basta sostituire il vocabolo immigrazione con la parola terrorismo. O meglio ancora con la sigla di Al Qaida Maghreb. A quel punto la maledizione di un Colonnello spicciamente e allegramente eliminato dalla Nato diventa dannatamente chiara. Tutto inizia a dicembre quando i miliziani tuareg del Mali, addestrati e pagati per anni dal regime di Gheddafi, terminano di saccheggiare gli arsenali del vecchio regime e se ne tornano a casa. Grazie a quelle armi e allesperienza acquisita impiegano poche settimane per mettere in fuga lesercito, conquistare il Nord del Paese e decretare la nascita dellAzawad, il mitico stato degli «uomini blu».
Ma la realtà è assai più prosaica della mitologia. A beneficiare dei successi dei reduci di Libia sono soprattutto i capi tuareg contagiati dal verbo integralista di Al Qaida Maghreb. Oggi Timbouctu ed il Nord del Mali sono un territorio fuori controllo. Come lAfghanistan di Bin Laden nella seconda metà anni Novanta. Come la Somalia degli sheebab. Da quellenorme base senza legge i terroristi fondamentalisti possono allungare i tentacoli sullintera Africa settentrionale e cercar di colpire lOccidente. La Libia, da questo punto di vista, è particolarmente vulnerabile ed attraente. La Nato, dopo aver assicurato leliminazione Gheddafi, ha chiuso la propria missione senza curarsi di garantire la sicurezza dei confini o di aiutare un Consiglio Nazionale di Transizione alle prese con decine di milizie allo sbando. I militanti di Al Qaida Maghreb, gli stessi che hanno tenuto prigioniera Maria Sandra Mariani e ancora non hanno restituito Rossella Urru, sono dunque liberi di scorrazzare dal Mali alla Libia, liberi di fornire appoggi e armi ai gruppi libici più vicini al terrore fondamentalista. Al Qaida Maghreb e i suoi sodali, come hanno dimostrato le vicende della Urru e della Mariani e quella tragica di Franco Lamolinara in Nigeria, sono in grado di farci molto male. Molto più male degli immigrati manovrati da Gheddafi. Soprattutto perché hanno a disposizione centinaia, forse migliaia, di missili antiaerei Sam 7 saccheggiati nei depositi del vecchio regime. Secondo le stime del Pentagono, che ha lanciato una missione per recuperarli o riacquistarli, almeno 10mila di quei missili sono finiti in mani ignote. Almeno qualche centinaio è sicuramente arrivato nel Mali ed è a disposizione di Al Qaida Maghreb. Da li possono facilmente raggiungere le nostre coste. E una volta in Italia possono facilmente venir utilizzati per colpire un aereo di linea. Ecco perché Giulio Terzi non ha dubbi.
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