Gli alleati lo scaricano: "Penati dimettiti"

L’INCHIESTA SULLE TANGENTI È già partita la resa dei conti tra compagni. Idv e Sel gli chiedono di lasciare il posto di vicepresidente del consiglio regionale. Formigoni garantista

Gli alleati lo scaricano: "Penati dimettiti"

Concussione e corruzione secondo la procura di Monza. Cooperative rosse. Il Partito democratico, sempre più partito della calce e martello, finisce in tribunale con l’indagine che travolge Filippo Penati oggi vice presidente del consiglio regionale, il suo fedelissimo Giordano Vimercati e l’assessore di Sesto San Giovanni Pasqualino Di Leva. E il Pd si scopre sempre più in crisi. La beffa di un «papa straniero» che espugna Palazzo Marino diventando sindaco dopo vent’anni di centrodestra, iscrizioni in calo, feste di partito ormai frequentate solo da pochi intimi e i circoli ormai pronti a essere sostituiti da quelli «arancioni» griffati Pisapia. Il paradosso di un partito vincente nelle urne, ma ormai preda di un declino che si annuncia irreversibile. E ora colpito al cuore anche dalle rogne giudiziarie di uno dei suoi uomini forti. Non solo a Milano nel milanese, perché Penati è oggi membro della direzione nazionale del Pd, ma è stato anche il capo della segreteria di Pierluigi Bersani prima di una ancora misteriosa e improvvisa rottura. Forse dovuta anche all’appoggio a Stefano Boeri, il candidato fortissimamente voluto alle primarie proprio da Penati per opporsi a Pisapia, l’uomo nuovo sponsorizzato da Nichi Vendola. E uscito vincente contro la nomenklatura del Pd milanese. Tanto che qualcuno racconta il disappunto di Penati la sera della vittoria del centrosinistra vedendo sfumare il suo progetto di riprendere la testa di un partito che in caso di sconfitta sarebbe tornato nelle sue mani.
Ora, dopo una lunga carriera politica cominciata nel Pci e approdata tra i velluti di Palazzo Isimbardi a montare e smontare con il fido Vimercati scatole societarie, l’inciampo sulle presunte tangenti per l’area ex Falck, il più grande cantiere d’Europa. Per l’accusa a partire dal 2001 Penati avrebbe ricevuto bustarelle per 4 miliardi di lire. «Sono sereno - assicura lui - non ho nulla da temere, si chiarirà tutto». Il sindaco di Sesto Giorgio Oldrini (Pd) dice di sentirsi «completamente estraneo alla vicenda, ma è impossibile negare che un avviso di garanzia a un mio assessore sia una cosa che mi riguarda». Pronta a chiedere le dimissioni l’Idv. «Auspichiamo - attacca il vice capogruppo in Regione Gabriele Sola - che Penati voglia fare un passo indietro». Più criptico, ma altrettanto deciso il messaggio di Sel. «Siamo sicuri - scrivono i consiglieri regionali Chiara Cremonesi e Giulio Cavalli - che Penati e certamente anche il Pd sapranno tutelare sia il diritto di difesa sia il prestigio del Consiglio regionale, consapevoli che l’ufficio di presidenza è organo di garanzia e non deve in alcun modo risultare offuscato». Il governatore Roberto Formigoni si augura «che Penati possa rapidamente dimostrare la propria estraneità». Parole identiche a quelle del segretario provinciale del Pd Roberto Cornelli.

Il presidente della provincia Guido Podestà, che sconfisse Penati alle elezioni provinciali del 2009, gli augura «di sapere dimostrare la sua estraneità, il garantismo impresso nel mio Dna, come in quello del Pdl, mi porta a considerare la presunzione d’innocenza una prerogativa di tutti i cittadini».

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