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Un allievo di Campese è il bello del Sud Africa

da Parigi

È l’uomo con i colpi di sole anche se qualche bionda come lui dice che ha la pelle vecchia. In un mondiale senza stelle, illuminato dalle otto mete di Bryan Habana, il Sud Africa ha potuto puntare anche sul namibiano Percy Montgomery e soprattutto sui suoi 105 punti. In finale ha avuto un frontale con una telecamera, ha sofferto, ma alla fine quella coppa l’ha stretta tra le mani. Nato a Walvis Bay, 33 anni fa, Montgomery è un tipo strano. Tanto preciso quando si tratta di spedire il pallone tra i pali (è lui il miglior marcatore di Francia 2007), va a corrente alternata quando si tratta di giocare con l’ovale tra le mani. La televisione australiana Fox sport ha sottolineato in più di un’occasione questa particolarità. Alla fine ha avuto ragione lui. Perché nella vittoria per 15 a 6 nella finale mondiale contro l’Inghilterra, è lui l’uomo copertina.
Sposato, due figlie, è un autentico globetrotter del rugby moderno. Due anni in Galles, a giocare con i Gwent Dragons, poi il ritorno in Sud Africa, con gli Sharks ed ora ancora l’Europa, sponda francese, con un contratto di due anni a Perpignan. È migliorato Montgomery, soprattutto grazie alle cure di David Campese, da due anni in Sud Africa con gli Sharks del Natal. In Sud Africa solo adesso sta passando all’incasso. Il coach Jake White lo ha voluto nella squadra per una scelta che va oltre la precisione sui calci da fermo. «È il pivot della nostra squadra, l’elemento attorno al quale ruota la nostra fortuna», spiega White, mentre Monty (873 punti in carriera di cui 111 al mondiale) ripassa con la testa il mese e mezzo francese. «Il momento più divertente? Di sicuro quando dal pullman guardavamo le operazioni della stradale per farci arrivare agli allenamenti. Liberavano la strada in un baleno e noi pensavamo che, magari, ci sarebbero stati utili anche sul campo. Scherzi a parte, è stata una grande esperienza questa coppa del mondo. Abbiamo lavorato duro e alla fine ce l’abbiamo fatta. Credo che la svolta ci sia stata nel match contro Tonga, nel momento in cui gli isolani sono tornati in partita. In quel momento ho calciato la punizione più difficile, quella che ha rimesso in carreggiata il Sud Africa. È stata una partita durissima ma è stata anche quella che ci ha dato la consapevolezza delle nostre potenzialità».
Adesso il Sud Africa aspetta di abbracciare i nuovi eroi. L’appuntamento è per martedì mattina, all’aeroporto di Johannesburg. Tornerà anche Percy il pendolare, la festa non vuole perderla. Soprattutto per gente come Os Du Randt, il vecchio pilone. C’era anche lui quel 24 giugno all’Ellis Park quando Mandela consegnò per la prima volta a Francois Pienaar la coppa del mondo. Anche lui entra così nel club esclusivo di chi la coppa l’ha vinta due volte: con lui ci sono gli australiani John Eales, Jason Little e Timmy Horan che trionfarono a Twickenham nel 1991 e a Cardiff otto anni dopo. A Os du Randt, che in Sud Africa gestisce una fattoria, ce ne son voluti 12, i piloni si sa non muoiono mai. Al massimo passano la palla. E per lui che la carriera internazionale l’ha prima interrotta e poi ripresa per amore del gioco, ora è il momento di dire basta.
Ha vinto la squadra migliore, l’unica capace di arrivare in fondo con un percorso netto. L’unico rimpianto è forse la qualità del gioco. Ieri il presidente dell’International Board ha riconosciuto che non è stato un mondiale spettacolare. Gioco troppo chiuso, deciso più dagli errori che dai talenti. Possibile adesso un ripensamento.

A cominciare dalle regole.

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