Nel film Diamonds are Forever, del 1971, uno stupito James Bond in fuga si ritrova all’improvviso dentro un set cinematografico composto da rocce, un fondale lunare e un veicolo molto simile a quelli della Nasa. Un’ambientazione stranamente familiare a chi, solo due anni prima, aveva assistito in diretta televisiva all’allunaggio dell’Apollo 11. Una strizzatina d’occhio di Hollywood a tutti coloro che non credevano, e non credono neppure oggi, che l’uomo sia realmente sceso sulla luna... Secondo l’ultimo sondaggio gli americani «scettici» sono il 20%. Un’enormità.
Sono i seguaci della conspiracy moon, la teoria del complotto secondo la quale l’impresa del 1969 sarebbe il più grande inganno di tutti i tempi, una colossale truffa politico-mediatica orchestrata dalla Casa Bianca per vincere, barando, la corsa allo spazio nella quale gli Stati Uniti erano in quegli anni impegnati allo spasimo con l’Unione Sovietica. Il palio, per chi arrivava prima sulla luna, c’era il controllo della terra.
Missione sospetto. Quando Neil Armstrong scese dalla scaletta del Lem - per i dietrologi - non si trovava affatto nel mare della Tranquillità, ma in un set cinematografico allestito in una base militare segreta. Secondo William Kaysing, un tecnico che all’epoca lavorava per la Rocketdyne, la società che sviluppò i motori della programma Apollo, il finto allunaggio fu girato al Norton Air Force Base di San Bernardino dal regista Stanley Kubrick (che l’anno prima aveva realizzato con straordinari effetti speciali 2001: Odissea nello spazio) sotto la minaccia di rendere pubblico il coinvolgimento del fratello Raul col Partito comunista.
Del resto, quando il presidente John F. Kennedy, nel 1961, promise che entro dieci anni avrebbe portato un americano sulla luna, uno studio di fattibilità redatto dalla stessa Nasa sentenziò che le probabilità di successo erano dello 0,0017 per cento. In altre parole, senza speranza. L’unico modo per mantenere la promessa era mentire. Per i complottisti esattamente ciò che fece il governo americano. Prove? Più che altro dubbi, a partire dal fatto che risulta davvero difficile credere che la tecnologia dell’epoca - senza computer o quasi, e con tute da astronauti che sembrano uscite da un B-movie degli anni ’50 - potesse depositarci delicatamente sulla superficie lunare (e riportarci a casa indenni, soprattutto).
Domande di rito: perché nelle foto e nei filmati della missione Apollo 11 non si vedono le stelle che, in mancanza di atmosfera, dovrebbero essere luminosissime? Perché non ci sono crateri sotto il Lem nonostante il getto del motore a propulsione? Perché in molte immagini gli astronauti proiettano ombre e sono illuminati in un modo inspiegabile rispetto alla sola fonte di luce possibile sulla luna, cioè il sole? Perché Armstrong è fotografato da Aldrin che si vede riflesso nel suo casco senza però avere in mano la macchina fotografica? A conferma dei dubbi dei cospiratori, la Nasa due anni fa ha dichiarato di aver perso i filmati originali dello sbarco. Che forse però salteranno fuori per questo anniversario.
Alla fine, tanti dubbi e una sola certezza.
Che la celebre frase «un piccolo passo per me, un grande balzo per l’umanità» - al netto di qualsiasi prova scientifica così come di qualsiasi teoria complottista - non può che essere uscita dalla penna di un mediocre sceneggiatore. Hollywoodiano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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