Montreal - Contrasto di sogni. Valencia, gennaio, interno a luci basse di un ristorante del porto. Fernando Alonso è il bi campeon del mundo chiamato a risollevare le sorti della McLaren-Mercedes. Sorride. Va di tavolo in tavolo e parla con gli ospiti: «Ho un sogno: ridare il mondiale a una squadra che lo insegue da quasi dieci anni. Sono qui perché cercavo nuovi stimoli, un'altra sfida. Il mio compagno? Ottimo ragazzo, a posto, ha voglia di crescere, farà grandi cose". Due tavoli dietro, Lewis Hamilton: «Sogno di imparare da Fernando, lui è davvero un grande». Neppure sei mesi dopo c'è un due volte iridato che rischia di fare il gregario e che vorrebbe tanto risvegliarsi dall'incubo e trovarsi di fianco un Albers, un Webber qualsiasi. E c'è un ragazzo prodigio alle prese con un sogno diventato realtà: «Adesso l'obiettivo è il mondiale e diventare un esempio per gli altri, soprattutto i giovani». Lo conferma sua padre, Anthony: «Durante la gara di Montreal è successo di tutto, spesso ho avuto paura, spesso ho gioito: temo che Lewis mi darà tutte queste sensazioni, queste scariche di adrenalina per almeno altri 15 anni. Il mio compito? Fare in modo che la sua vita sia felice e che lui diventi un simbolo per i giovani disagiati«. E una preda per gli sponsor di tutto il mondo. Gli esperti di marketing d'Oltre Manica sono sicuri: «Nell'arco di tre anni, Hamilton (che quest'anno incassa 750mila euro, più 250mila a vittoria, ndr) arriverà a guadagnare un milione e mezzo di euro per ogni giorno in pista». Qualcosa come oltre 80 milioni a stagione.
Ovvio che Alonso mastichi amaro: «Non mi sono mai illuso - dice - di aver vita facile, forse per questo in McLaren, fin dal primo momento, non sono mai stato completamente a mio agio. So perfettamente di essere uno spagnolo in una squadra tutta inglese nella quale un pilota britannico sta facendo davvero molto bene. Non solo - prosegue il campione del mondo - Ho intuito fin dall'inizio che tutto l'appoggio, tutto il sostegno sarebbero andati a Lewis . Da qui il mio disagio. Però li capisco e non mi lamento certo di questo; e neppure delle critiche o del tifo che fanno i media d'Oltremanica. Lo coccolano? Va bene così, è nelle cose, però sarebbero stati zitti se la safety car, anziché penalizzare me entrando al giro 24, fosse arrivata in quello prima, quando Hamilton non avrebbe avuto abbastanza benzina per farne un altro». E addio vittoria. «Comunque, io sono di natura un calmo, sto bene, mi rendo solo conto di essere impaziente di ritornare al top e di dominare. Ma, se non sbaglio, ho vinto due Gp e fatto quattro podi in sei gare; sono pur sempre secondo in campionato, staccato di 8 punti da Lewis. Sarebbe stato peggio se fossi rimasto un altro anno alla Renault. A questo punto del campionato sono più o meno dove mi aspettavo di essere e con ottime possibilità di vincere il titolo. Il mondiale arriva all'ultima gara, non alla sesta».
Un discorso lenzuolo, il suo, che fa una sola vistosa piega: è vero che Fernando si trova nelle zone alte dove pensava di essere, ma è vero anche che l'avversario più diretto non è la Ferrari (lontana, con Massa, 15 punti) bensì il compagno esordiente. Per questo patron Ron Dennis è subito corso ai ripari: «I miei piloti hanno entrambi le stesse chance di lottare per il titolo. Alonso ha ragione solo quando dice che è nel team da poco, per cui, è vero, l'intesa crescerà ancora, tanto più che noi non faremo nulla che metta a rischio il nostro bel rapporto con lui. Ribadisco: Fernando e Lewis avranno sempre uguale auto, uguale supporto, uguali opportunità di vincere». Ma, forse, è proprio questo che tormenta il campione del mondo. Purtroppo per lui ha scelto il team peggiore per voler fare la prima guida: da sempre, infatti, la filosofia di Dennis è «liberi di combattere senza fare cretinate».
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