Ciò che gli uomini Ferrari hanno fatto in Turchia è grande benché un podio, pensando al curriculum, sembri poca cosa. Perché nelle tre settimane vissute chiusi in fabbrica quasi notte e giorno, col capo chino a rivedere tutto, ripensare tutto, ridisegnare e riassemblare tutto, idee comprese, cera terreno ampio e fertile per generare un abbattimento collettivo. Invece i ragazzi sapientemente guidati da Stefano Domenicali non sono finiti nel vortice depressivo che gli roteava a un metro, non si sono crogiolati nel dolore di vedere le Red Bull volare via con le McLaren in scia e, massì, persino le Mercedes. No. Domenicali ha spronato i suoi, si è affacciato alla finestra delle critiche per far come nel suo dna da parafulmine ai ragazzi del team, così che i tecnici di Maranello potessero lavorare concentrati regalando alla 150° Italia quella «maggiore creatività» chiesta proprio dal direttore della Gestione sportiva.
Fatto. Alonso a podio. A dieci secondi dal vincitore extraterrestre Vettel, superato solo allultimo da Webber, però davanti mezzo minuto alla McLaren di Hamilton che solo in Cina aveva vinto (e poco importa che linglese e il suo box abbiano pasticciato). Fatti due conti, visto anche Nico Rosberg a far inizialmente da tappo nobile, lo spagnolo avrebbe potuto attaccarsi persino a Vettel. Non per vincere, però. Diciamo, per rompergli le scatole.
E ora fa bene il dt Costa a dire «forza Ferrari» quasi fosse un urlo liberatorio, «questa è una iniezione di fiducia per noi e per tutti a casa» e fa bene Alonso a spronare «questo è solo il primo passo» e fa bene Domenicali a sorridere e non gioire, a dire «questa Rossa sembra la sorella più bella di quella che disputa la qualifica», sottolineando che Alonso ha disputato una bellissima gara, «veloce e aggressivo quando doveva e prudente al momento giusto».
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