Lorenzo Scandroglio
Il paesaggio, qualunque paesaggio, non solo quello alpino, ha una sua eloquenza muta, non ha bisogno di parole. Naturalmente le parole hanno un potere immaginifico, ma a volte possono bastare le immagini. Così il libro del fotografo torinese Marco Milani e dellalpinista Alessandro Gogna (probabilmente il nome più significativo nel panorama alpinistico nazionale degli anni 70-80 al fianco di Messner) è una meravigliosa galleria fotografica, con rare note a margine, che lascia parlare il blu dei cieli, il bianco abbacinante delle nevi, il verde dei parti vallivi, la vertigine e lincanto delle Alpi tutte. Già, le Alpi, questo immenso universo montuoso che molti, ingenuamente, considerano una barriera e che invece, da sempre, costituiscono un crogiolo di culture e di incontri, le Alpi che attrassero a sé le inquietudini mistiche, poetiche, scientifiche di quanti, cittadini, impararono ad amarle, a conoscerle, e poi a scalarle, sono loro le protagoniste discrete di queste pagine. Anche quando è il Cervino, come nella copertina, a ergersi imponente, la fotografia di Marco Milani non è mai sguaiata, mai gridata.
Niente foto aeree, per scelta, ma nella prospettiva di chi si avvicina a piedi, silenziosamente, in sintonia con lambiente. In sostanza più di 100 emozionanti scorci dellarco alpino con le note, quasi degli aforismi, di Alessandro Gogna che, nellintroduzione spiega: «Questa è unopera che vuole mostrare, con semplicità e passione, le bellezze delle nostre Alpi e la ricchezza delle sue risorse di solitudine e di pace. Vuole portare al tavolino del sedentario costretto alla guerra quotidiana della città, il modo più semplice di provare dentro di noi quella pace di cui oggi si parla tanto, a volte senza sapere cosa è davvero la pace stessa. Percorrere con gli occhi le immagini che noi proponiamo è un primo invito, una presentazione limitata ma non limitante. I nostri ricordi, qui riprodotti, raffigurano esattamente ciò che chiunque può ripercorrere
». Non barriera - sottolinea Gogna - ma cerniera che unisce giacché, a dispetto dei confini che spesso corrono lungo i suoi spartiacque, leconomia, i flussi migratori, le relazioni dei suoi popoli sono sempre stati fitti e prolifici, dando luogo, pur nelle diverse appartenenze statuali, a una sorta di koiné alpina, non linguistica, ma culturale, fatta di usi, costumi, rituali comuni a questo vero e proprio «sotto-continente».
E poi ci sono le Alpi come scenario e memoria di alcune fra le più importanti pagine della storia europea. Basti pensare alla «guerra bianca», a quel particolare fronte della Prima guerra mondiale che vide come protagoniste le vette e le nevi delle nostre Alpi: un fronte dove spesso le linee erano poste a quote superiori ai 3000 metri di altitudine e che costringeva i soldati austriaci e italiani a combattere, prima ancora che fra loro, con condizioni di vita e atmosferiche ai limiti dell'impossibile. Come non ricordare poi che sulle Alpi Horace Benedicte de Saussure, con la prima ascensione al Monte Bianco, inventò lalpinismo? Spinto, sostengono alcuni, dalla brama scientifica. Ma la brama è innanzitutto una passione. Ecco allora che latto fondativo dellalpinismo, e la sua prima ragion dessere, è tutto tranne che un fatto razionale. Amore smisurato, inquietudine, innanzitutto. Oggi le Alpi, dopo secoli in cui i suoi popoli, fra i quali i Walser, vissero in condizioni difficili (con lavvento della civiltà industriale le montagne cominciarono a spopolarsi e gli alpeggi furono abbandonati), stanno vivendo una sorta di rinascimento. La flessione demografica sembra essersi fermata. Molti ritornano. Altri decidono di metter su famiglia e restare. Alcuni cittadini, sfruttando le tecnologie che consentono di lavorare a distanza, si trasferiscono nelle valli. E poi cè il turismo, lo ski business (con i suoi eccessi), lescursionismo.
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