Un altare per non seppellire il ricordo dei morti della Rsi

Un monumento per ricordare il sangue dei vinti. Un monumento «da consegnare alle generazioni che verranno, affinché conoscano tutta la verità». L’altare con su scritto «RSI 1943-1945» sorgerà proprio sul Monte Manfrei, in provincia di Savona, teatro di una delle pagine più cupe della guerra civile italiana. Nel maggio 1945 più di 200 ragazzi della Divisione San Marco furono fucilati sommariamente, e per di più a guerra finita, dai partigiani. Dopo tanti anni di battaglie e indagini l’Onlus Croce al Manfrei, presieduta dal reduce Michele Giusto, non solo è riuscita a ricostruire storicamente quanto accaduto, ma anche a far partire i lavori per la costruzione di un altare e di un boschetto in ricordo di quei giovani. L’associazione, inoltre, a cui è stato donato il terreno dalla proprietaria Silvana Gaione, si occupa anche della manutenzione del luogo naturale, pulendo e curando il sottobosco.
Giusto, quando è nata l’Onlus Croce al Manfrei?
«Nel 2000, con l’obiettivo di salvaguardare l’ambiente e portare avanti ricerca e commemorazione storica dell’ultimo conflitto mondiale».
Il Manfrei è un luogo simbolo.
«Sul monte Manfrei si è consumata una delle stragi più efferate di tutta la Liguria. Duecente ragazzi della Divisione San Marco e tanti altri probabilmente ancora non trovati, sono stati uccisi a guerra finita dai partigiani. Senza processo».
Una storia tenuta nell’ombra.
«Per tanti anni, come succede in più occasioni quando si parla del sangue di chi aveva perso la guerra, i morti sono stati dimenticati. Nel dopoguerra Giulio Zunini sindaco di Urbe, località dove si trova il monte, d’intesa con la signora Noemi Serra Castagnone, delegata genovese dell’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi dell’RSI, e con l’aiuto dei Carabinieri, iniziò la ricerca delle fosse. Nell’aprile 1955, quest’ultimi confermarono che nel territorio esistono altre fosse di cui non si conosce l’esatta ubicazione. Nel settembre 1956 iniziarono le esumazioni».
Fu difficile far emergere quella terribile verità?
«Io ed altri reduci ci impegnammo a fondo per la ricostruzione dei fatti, su cui dopo tanti sforzi, anche grazie al nostro contributo, sono stati scritti dei libri. Le racconto solo un aneddoto per farle capire il clima in cui si portavano avanti le ricerche: per parlare con gli abitanti dei paesi limitrofi, per farci raccontare quello che avevano visto, dovevamo recarci a casa loro durante la notte, lasciando la macchina molto distante perché subivano costantemente minacce da chi quella storia e quei corpi li voleva tenere nascosti».
Fra poco partiranno i lavori per chiudere il cerchio del ricordo.
«Penso al 1984 quando iniziammo a prendere in cura il Manfrei, non ci saremmo mai aspettati di arrivare ad un traguardo così importante. All’inizio eravamo per lo più reduci, ma poi, piano piano, si sono uniti a noi molti giovani, molte persone che volevano conoscere la nostra storia e quella del Manfrei. Con il contribuito di tutti abbiamo deciso di far costruire un altare in marmo, in ricordo di quei ragazzi. Perché non vengano uccisi un’altra volta, perché non vengano dimenticati».
Perché è importante ricordare i vinti?
«La storia deve essere conosciuta a 360°, a noi non interessa rievocare in modo fazioso la guerra civile, ma solo far sì che il ricordo di italiani morti per quello in cui credevano, non venga sepolto. Trovo assurdo che una parte della storia di questo Paese venga appositamente tenuta in un cassetto perché ritenuta scomoda».
Quando verrà inaugurato l’altare?
«Fra un anno. Inviteremo autorità politiche e militari per fare le cose come le abbiamo sempre fatte: alla luce del sole. Pianteremo anche un albero per ogni divisione dell’RSI, rinverdendo il monte. L’opera costerà sui 50mila euro, stiamo cercando di raccoglierli con donazioni volontarie e il cinque per mille».
Sa perfettamente che ci sono persone che non vogliono ricordare.
«Per più di sessanta anni la stampa e una parte dell’opinione pubblica hanno voluto dimenticare volutamente i vinti.

Molti partigiani si sono comportati eroicamente, infatti in alcune nostre commemorazioni abbiamo posato corone di fiori anche per la loro memoria di combattenti. Come ho già detto non vogliamo rievocare in modo fazioso il passato. Non chiediamo riconoscimenti e non vogliamo medaglie da questo Stato. Pretendiamo solo un po’ di verità storica».

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