Cristiano Gatti
È molto bello, per gli italiani d'Italia, sentirsi così amati dagli italiani dell'Alto Adige: 113 tra sindaci e vicesindaci, dei 116 che governano lassù, hanno appena chiesto all'Austria di tenerli sotto il suo ombrello protettivo, anche solo con un cenno nella nuova, ipotetica, futuribile Costituzione. Neppure hanno aspettato di sapere se la vicina nazione delle nevi riuscirà davvero a rinnovare le sue regole fondamentali: con un tempismo molto tedesco, si sono portati avanti. Meglio si sappia subito da quale parte batte il cuore di questi italiani, fosse mai che un domani i fratelli di strudel effettivamente avviassero la revisione della Carta.
Nella petizione prontamente consegnata al presidente del Parlamento austriaco, Andreas Khol, i 113 su 116 (risicata maggioranza del 99,99 per cento) chiedono - supplicano, implorano - che nelle sacre regole sia previsto questo articolo: «La Repubblica austriaca si impegna alla tutela del diritto all'autodeterminazione del popolo di lingua tedesca e ladina separato dal Tirolo», là dove per «popolo di lingua tedesca e ladina separato dal Tirolo» non si intende evidentemente la Sardegna, e neppure il Molise e la Romagna. Indovinato: è proprio l'Alto Adige. Una regione che territorialmente corrisponde alla provincia di Bolzano, ma che idealmente ci ostiniamo a chiamare così soltanto noi, italiani del Sud (per loro, tutti quelli sotto la val di Fiemme), da quando i nostri nonni ci hanno lasciato la pelle per tenerla in quota tricolore. Ma per loro, per l'orgogliosa etnia tedesca, l'Alto Adige non esiste più da tempo, come dimostrano tutte le loro carte intestate, i loro loghi pubblicitari, i loro stessi discorsi ufficiali: tutto, qui, è Südtirol. Anche le mele. «Wilkommen in Südtirol», si legge ormai ovunque all'ingresso dei confini: una dicitura niente affatto nostalgica o simbolica. In realtà rappresenta la mai sopita aspirazione della debordante maggioranza tedesca, sempre più maggioranza e sempre più debordante, visto che chi vive qui deve dichiarare all'anagrafe a quale gruppo etnico vuole appartenere, e scegliere l'Italia sta diventando sempre più difficile, al limite del masochistico (leggi concorsi pubblici, case, privilegi vari).
In questa cornice, si comprende bene come la nuova mossa dei 113 amministratori locali - all'appello mancano solo Corvara, Bronzolo e Senales: eventualmente, potremmo tutti ricordarcene scegliendo le prossime vacanze -, come questo eterno afflato separatista di sindaci e vicesindaci dello Stato italiano non abbia nulla di folkloristico. È l'ennesimo segnale, dicono giustamente i superstiti dell'etnia italiana, del vero sentimento che alberga da sempre in queste popolazioni, generazione dopo generazione, come se le antiche guerre di confine e di appartenenza non si fossero mai realmente risolte.
«Non capisco tanta agitazione - dice ineffabile e beffardo il governatore altoatesino, o sudtirolese, Luis Durnwalder -: l'Austria è tenuta a essere garante dell'Alto Adige sulla base degli accordi di Parigi. Sarebbe piuttosto il caso che il tema della nostra tutela fosse inserito anche nella Costituzione italiana... ». Che dire: tra i patrioti italiani, sta appena dopo Enrico Toti e appena prima di Pietro Micca.
Dei 113 firmatari fa parte anche la figura autorevole del vicesindaco di Bolzano, nonché segretario della potentissima Svp, Elmar Pichler Rolle. Il suo sindaco (Luigi Spagnolli, Unione) si premura di precisare che Pichler Rolle aderisce «a titolo personale», anche se questa presa di distanze frana subito sotto il peso di quanto aggiunge dopo: «Va anche detto che lo Stato italiano è un preoccupante colabrodo...». Da come si sta mettendo, appare sempre più provvidenziale lo scatto di dignità e d'orgoglio del presidente Ciampi, che senza dare tante spiegazioni ideali ha comunque annullato la sua visita in Austria. Forse è davvero un semplice problema di agenda: in ogni caso, diventa un gesto sacrosanto. Ci sono già troppi italiani, sopra Trento, che vogliono precipitarsi in Austria: che almeno il presidente si fermi qui.
Al momento, l'incidente diplomatico sembra chiuso. Non la questione altoatesina. Per quella non è bastato un secolo. La triste sensazione è che non ne basteranno altri dieci.
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