Cultura e Spettacoli

Altro che favola, il mito è la realtà

Manifestazioni del sacro, e perciò strettamente legate al rito, le grandi mitologie (dalle grotte preistoriche alla classicità) non sono finzioni ma raccontano storie vere. Uno studio dei maggiori specialisti mondiali sui linguaggi delle culture arcaiche

Che cos’è il mito? Certo nulla di prossimo all’aggettivo «mitico» che si usa indiscriminatamente nel linguaggio parlato. Un tempo l’uomo si esprimeva per miti, che appaiono ancora nei nostri sogni, in forma fantasmatica e spesso mascherata, e nelle visioni di alcuni poeti. Da più di un secolo gli studiosi occidentali esaminano il mito in una prospettiva vicina a quella delle civiltà arcaiche, dove il mito designa una «storia vera», non solo, ma esemplare, significativa e sacra. Questa tendenza sottrae il mito all’erronea lettura precedente, accentuata dall’illuminismo, di «finzione», illusione, favola.
Il processo di sgretolamento del mito ha in realtà inizio molto indietro nel tempo, con lo sviluppo della filosofia greca, che contrappone al suo linguaggio favoloso la razionalità del pensiero. Ancor oggi il termine è comunque usato nel linguaggio comune in senso negativo di favola illusoria, o fenomeno inspiegabilmente assurto a fama universale. A occultare la potenza del mito, inoltre, concorreva un tempo la sua pressoché esclusiva identificazione con la mitologia greca, che rappresenta certo un mondo mitico e religioso straordinario, ma che consentiva di equivocarla con l’estetismo dei neoclassici. Da tempo invece sono note le grandi mitologie del mondo, dall’Egitto all’antica Roma, dalla Cina all’America, dall’Africa all’Australia. Pur diversi e specifici in ogni civiltà, i miti hanno un’essenza universale: la montagna, simbolo dell’ascesa, l’albero, l’uovo cosmico...
Ne vediamo la manifestazione più antica nelle grotte, prime cattedrali dell’umanità, dove le pitture rappresentano note e strumenti musicali, gocce di pioggia, animali che simboleggiano spiriti divini: il bisonte, simbolo di energia, il cavallo, potenza, velocità, leggerezza, vento. Quelle pareti dipinte erano illuminate da torce, in occasioni particolari, e al suono di tamburi e flauti, con canti e danze si svolgevano riti: il mito è legato al rito. Racconta qualcosa che è avvenuto ai primordi, tramanda una memoria dell’origine. Ecco perché affiora, anche volubile e confuso, nei sogni umani e nelle visioni dei poeti.
Tra i grandi studiosi del mito giganteggia la figura del rumeno Mircea Eliade (1907-1986), formatosi sotto l’influenza di Nae Ionescu come filosofo e storico delle religioni all’Università di Bucarest: non solo i suoi studi sullo sciamanesimo, sulla metallurgia, ma tutta la sua indagine sulle culture arcaiche e le sue stesse proposte metodologiche hanno tracciato un solco profondo e fertile (tra le sue opere, Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, 1951; Lo yoga. Immortalità e libertà, 1954; Arti del metallo e alchimisti, 1956; Il sacro e il profano, 1956). Anni fa, nell’occasione di un convegno sullo studioso rumeno, il filosofo Stefano Zecchi affermò: «Il Novecento è stato il secolo di Sigmund Freud, il 2000 sarà il secolo di Mircea Eliade». Parole, più che profetiche, diagnostiche, nel senso che percepivano il polso della situazione occidentale: la crescente insoddisfazione verso un mondo privo di valori, o di valori deboli, dopo le inquietudini, le ricerche spirituali confuse, sta conducendo a una riscoperta del sacro, di cui il mito è manifestazione.
L’editore Jaca Book è uno dei punti di riferimento in tale ambito: da anni pubblica la fondamentale Enciclopedia delle Religioni di Mircea Eliade, impresa ardita poiché l’opera è vasta, in molti volumi; da anni organizza la riflessione sul sacro e il mito per opera di Julien Ries, grande storico delle religioni, discepolo di Eliade, e di altri importanti autori stranieri e italiani. Ora, con un concorso di contributi eccellenti e perfettamente connessi, e con un apparato iconografico di straordinaria eloquenza, l’editore milanese pubblica Il Mito, sottotitolo «Il suo linguaggio e il suo messaggio attraverso le civiltà» (pagg. 240, euro 70; a cura di Julien Ries).
Si tratta di un libro che va aperto come uno scrigno: mentre le grandi mitologie brillano con le pitture rupestri della Tanzania, le impronte di mani e figure divine nella grotta della Patagonia, le statue antropomorfe di Città del Messico, le pitture rupestri australiane raffiguranti gli esseri mitici del Tempo dei Sogni, l’immagine di Caronte traghettatore di anime nella pittura funeraria di Paestum, e un infinito repertorio di immagini divine o magiche, incernierati lucidissimamente si susseguono saggi che esplorano le principali questioni del mito, facendo il punto sui vari campi: Julien Ries introduce al tema del mito, Jacques Vidal ne indaga il messaggio di solidarietà universale, passiamo poi alle prime esperienze del sacro, alla montagna cosmica, ai miti del Caos e delle acque, all’uovo cosmico, e da questa trattazione generale del tema si passa a indagini su civiltà specifiche, dal mondo biblico (rivelante excursus di Gianfranco Ravasi) a quello sumero, da quello omerico a quello aureo e traghettante dei Faraoni, dall’Africa alla Cina.
Il lettore è contemporaneamente spettatore, poiché le illustrazioni, potenti ed esemplari, ci proiettano in un ideale museo del mito, anche grazie alle didascalie esaustive e chiare. Attraversiamo quindi le strutture derivate del mito, secondo Vidal «uno stupefacente settenario»: la prima è speculare, perché ogni mito è uno specchio, la seconda è esemplare, perché il mito è un esempio. Proseguendo: festiva, ogni mito è una festa, un canto del Mondo; tragica, perché il mito esprime un dramma dell’origine, che perdura; androgina, perché il mito tende all’annullamento dell’opposizione, alla fusione ultima delle parti; eroica, perché il mito narra le grandi gesta di una tradizione, e si comprende quindi come l’ultima, la settima, sia divina: «Quest’ultima non si accumuna con le altre - scrive Vidal -. Solo alla fine si capisce che in realtà è all’inizio. Gli dei le danno senso nello spazio e nel tempo. Fanno della commedia umana una commedia divina».


Forse in questa frase si può riassumere il senso del libro: uno scrigno che aiuta a scoprire, nella nostra, la commedia divina.

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