Ce lo hanno descritto con la lira in mano mentre Roma brucia o ghignante fra una recita poetica e laltra dopo aver mandato a morte qualcuno che gli faceva ombra. E poi, nel momento della fine, come un attore che esce di scena e rimpiange lumanità destinata a perdere un formidabile istrione. «Qualis artifex pereo»: quale artista muore con me, avrebbe detto Nerone prima che il fedele liberto Epafrodito lo aiutasse a infilarsi un pugnale nel collo. Una rappresentazione a effetto degna di un esaltato.
Così come lo ha dipinto la tradizione, il figlio di Agrippina ha pochi rivali in grado di contendergli la palma della crudeltà. Passando in rassegna i repertori dei mostri dellumanità, scopriamo che nessuno ha esibito una violenza così capricciosa, unestetica del male tanto kitsch e gratuita quanto quel sanguinario imperatore. Che però, con la miriade di aneddoti fioriti e inventati sul suo conto, potrebbe a buon diritto affermare nel tribunale dei posteri di aver avuto tutta - o quasi - la stampa contro. Faziosa, ideologica più che mai, ingiusta e inattendibile. Così almeno pensava Gerolamo Cardano, matematico, medico, filosofo dagli interessi poliedrici e dai gusti eccentrici, che in pieno Cinquecento scrive in latino una vera e propria controstoria, con buona pace di Tacito e Svetonio, che gli studenti di ogni tempo incautamente eleggono come unici giudici e testimoni dellImpero. Il suo Elogio di Nerone (ora pubblicato da Salerno a cura di Marco Di Branco, pagg. 264, euro 13, ma già Marcello DellUtri, nel 1998, ne aveva promosso una riedizione) è un saggio di revisionismo ante litteram e, al tempo stesso, un provocatorio esercizio su come si rovescia uno stereotipo consolidato.
Altro che tiranno spietato: Nerone fu per Cardano un optimus princeps, non troppo lontano da quello sognato da Niccolò Machiavelli, amatissimo dalla plebe di Roma, che continuerà per secoli a farlo oggetto di una venerazione spontanea, e - caso più unico che raro nella storia romana - rispettoso dei diritti degli altri popoli. A condannarlo alla damnatio memoriae furono storici legati a quegli stessi interessi aristocratici contro cui si orientò la sua azione politica. Se limmaginario collettivo ha fatto di lui la quintessenza della follia al potere, ciò è dovuto soltanto alla parzialità delle fonti.
Una lezione storiografica e al tempo stesso un invito al relativismo, utile sempre (e non solo con Nerone) per evitare le insidie e le parzialità del settarismo.
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