Un altro Kim, erede per caso con l’atomica fra le mani

Il «grande successore», dell’ultima dinastia stalinista al mondo, ha 28 anni, la faccia da porcellino d’India e i gradi di generale, anche se la sua esperienza militare è minima. Una delle foto incautamente fatte circolare dalla propaganda lo immortala mentre scruta l’orizzonte con un binocolo, ma al contrario. Kim Jong un, il terzogenito del «caro leader» della Corea del Nord, fulminato da un infarto, eredita non solo un regime fermo al Medioevo comunista che affama il suo popolo, ma pure le chiavi dell’arsenale nucleare.
Fino a pochi anni fa la vita del «grande successore», come è stato subito battezzato dai media di Stato alla morte del padre, era un totale mistero. Ancora oggi non è chiaro se sia nato nel 1983 o nel 1984. Il terzogenito di Kim Jong il è il figlio di Ko Yong Hui, una ballerina nata in Giappone, ma di origini coreane, molto amata dal dittatore scomparso. La terza moglie del «caro leader», che morì nel 2004 per un cancro, chiamava l’ultimogenito «re della stella del mattino». Della giovinezza dell’erede designato esisteva solo una foto scattata a 11 anni e per questo era soprannominato il «figlio senza volto». Il padre lo mandò a studiare in Svizzera, vicino a Berna, con il falso nome di Pak Chol. Nella confederazione ha studiato inglese, tedesco e francese, ma i suoi compagni lo ricordano per la passione per il basket, che continuerebbe a mantenere seguendo in tv il campionato Nba americano. Il suo mito era Michael Jordan. Il futuro leader del paese più chiuso al mondo amava anche sciare, disegnava fumetti ed era affascinato da Jean-Claude Van Damme, l’attore di Hollywood macho delle arti marziali. Nel 2000 Kim abbandonò gli studi e rientrò in patria per seguire le orme del padre. Forse non è un caso che la prima lode delle sue virtù, insegnata agli scolari, si intitola «Orme». Nel paese con il quarto esercito del mondo l’erede ha frequentato l’accademia militare arrivando ai gradi di capitano.
Nessun analista puntava su di lui, ma i fratellastri maggiori si sono eliminati da soli nella corsa al trono stalinista. Il primogenito, Kim Jong nam, che vive in semi esilio a Macao, cadde in disgrazia nel 2001 quando venne pizzicato mentre tentava di entrare in Giappone con un passaporto falso. Non era in missione segreta, voleva farsi un giro nella Disneyland di Tokyo. Stessa sorte per il fratello minore, Kim Jong chul, che a Singapore seguì sotto mentite spoglie un concerto di Eric Clapton. Il padre lo considerava un «effeminato», troppo debole per guidare il paese con il pugno di ferro.
Il «grande successore», invece, secondo l’ex cuoco di famiglia, «è identico al caro leader». La sua improvvisa ascesa inizia nel 2009, dopo che papà fu colpito dal primo infarto. La leggenda vuole che vennero stampati diecimila ritratti di Kim Jong Un pronti ad esser affiancati a quelli del nonno fondatore della dinastia. Lo scorso anno il delfino da capitano viene promosso a generale a quattro stelle. La propaganda di Stato ha cominciato a chiamarlo «brillante compagno» e poi «piccolo generale». Nell’ultimo anno Kim è l’ombra del padre nei viaggi ufficiali diventando di fatto il «grande successore».
Dietro le quinte, però, il giovane erede, è sotto tutela del navigato cognato del defunto leader, Jang Song taek, che controlla il partito. Non solo: sua moglie è Kim Kiong hui, soprannominata la Lady Machbet di Pyongyang.
Un metro e 75 e oltre novanta chili di peso, il successore è un grande bevitore come il padre e avrebbe già problemi di salute a cominciare dal diabete.

Per mantenere la dinastia dovrà scendere a patti con lo zio, che gli ha trovato pure una graziosa moglie e stare attento a non urtare la potente casta dei militari. Generaloni, in gran parte anziani, sopravvissuti alle purghe, che non vedono di buon occhio un giovincello che li comanda e controlla l’arsenale nucleare.
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