Un altro no dall’India: marò ancora in cella

Sul caso dei due marò incarcerati in India non si ferma l'escalation diplomatica. Ieri mattina la Farnesina ha convocato l'ambasciatore indiano a Roma per protestare contro le accuse di omicidio volontario e altro imputate a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
Non solo: fonti de Il Giornale garantiscono che il richiamo del nostro ambasciatore a New Delhi è il primo passo di una possibile escalation. Si può arrivare al ritiro definitivo dell'ambasciatore, fino a quando non sarà risolto il caso dei marò e come mossa estrema alla rottura dei rapporti diplomatici e chiusura della nostra sede a New Delhi.
Ipotesi molto remota tenendo conto degli interessi economici con l'India, che è pur sempre un Paese alleato e potente, ma esistono almeno due o tre azioni di «rappresaglia» diplomatica, come il ritiro dell'ambasciatore, che rappresenterebbero segnali sempre più forti.
Per ora la reazione italiana non basta ad invertire la rotta in vista di un processo in India ai due marò, che al momento sembra inevitabile. Ieri il tribunale di Kollam ha respinto la richiesta italiana di libertà su cauzione per i due fucilieri di Marina. Un niet prevedibile, che il magistrato P.D. Rajan ha giustificato, con la stampa locale, spiegando candidamente che «se fossero rimessi in libertà e dovessero lasciare l'India, sarebbe difficile assicurare la loro presenza al momento del processo».
Il sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura, che rientrerà oggi in Italia con l'ambasciatore Giacomo Sanfelice, ha commentato così la decisione della corte: «Non siamo sorpresi, ma proviamo un ulteriore disappunto». De Mistura ha spiegato a Il Giornale che la difesa non ha ancora ottenuto il voluminoso dossier accusatorio di 196 pagine.
Gli avvocati dei marò sperano di ottenere una copia entro 48 ore, ma gli indiani sostengono di aver tempo fino al 25 maggio per condividere con la difesa le prove raccolte. «Lo dico chiaro: le accuse sono assurde, infondate e facili da demolire. A cominciare da come è stata eseguita la famosa perizia balistica. Aspettiamo le carte, ma è tutto fuori dal mondo» sottolinea De Mistura al telefono da Trivandrum, capitale dello stato del Kerala.
Il ministero degli Esteri indiano da una parte cerca di gettare acqua sul fuoco, ma dall'altra è come se facesse spallucce alla reazione diplomatica italiana. «Non è una prassi inusuale richiamare gli ambasciatori per consultazioni» ha dichiarato ieri all'agenzia Ansa il portavoce del ministero, Syed Akbaruddin. In realtà sulla stampa indiana era trapelata l'irritazione dello stesso ministro degli Esteri indiano per il richiamo dell'ambasciatore a Roma.
Akbaruddin ha aggiunto che «non c'é necessità di reagire» alla mossa diplomatica di Roma. Quasi in contemporanea, però, il nostro ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha fatto convocare alla Farnesina Debabrata Saha, l'ambasciatore indiano a Roma. Al rappresentante di New Delhi «è stato nuovamente ribadito che si tratta di organi dello Stato italiano (Latorre e Girone nda) impegnati in operazioni antipirateria i quali godono quindi di immunità, e che la normativa internazionale attribuisce chiaramente all'Italia la competenza giurisdizionale».
Ieri i marò in carcere a Trivandrum sono stati informati della reazione diplomatica italiana e secondo De Mistura «sono rincuorati, rinfrancati e combattivi perchè hanno capito di avere l'Italia al loro fianco». Sarà così, ma Sanfelice era già stato richiamato in Italia all'inizio della crisi e l'ambasciatore indiano viene convocato alla Farnesina per la seconda volta. Se non bastasse bisognerà decidere altre «rappresaglie», a cominciare dal ritiro dell'ambasciatore.
Per non parlare delle navi militari che al largo della Somalia continuano a difendere - pure l'Oceano indiano - dai pirati che colpiscono sempre più lontano.

E forse il governo tecnico potrebbe cominciare a pensare almeno alla minaccia di ritirarsi dalle missioni all'estero sanguinose e costose, come quella in Afghanistan, che serve a difendere anche l'India.
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