Amalia Grè: «Benigni ha ispirato il mio jazz»

Dopo il successo dell’esordio la cantante anticipa il nuovo album con la cover di «Quanto ti ho amato»

Antonio Lodetti

da Milano

L’anno scorso un successo fulminante con Amalia Grè, il cd modaiolo che mescolava con classe jazz, pop, ritmi sudamericani e retrogusto melodico. La nuova Mina, l’ha definita precipitosamente qualcuno; una meteora, ha pensato altrettanto frettolosamente qualcun altro. Per smentire tutti, puntando solo sulla sua versatilità, Amalia Grè sta terminando il nuovo album (si intitolerà Per te) in uscita a febbraio, anticipato dal singolo Quanto ti ho amato, il brano firmato da Roberto Benigni e Nicola Piovani che la cantante ha riletto alla sua maniera. «Vivo per scrivere canzoni ma questo pezzo di Benigni mi ha stregato. Lui non è un cantante col suo timbro vocale mi ha fatto piangere dall’emozione. È alta poesia. Io la rileggo per voce, pianoforte e in sottofondo un quartetto d’archi».
È un ottimo apripista per il nuovo album.
«L’album sarà un incrocio di emozioni, perchè io non mi siedo al pianoforte per comporre, le canzoni nascono da sole nella mia testa e nel mio cuore».
Il successo del primo cd l’ha condizionata?
«Ho fatto una lunga gavetta a New York, ho studiato con la regina del canto jazz Betty Carter, ho inciso il primo cd a quarant’anni. Non sono una ragazzina che perde la testa ai primi consensi. Credo nella mia musica che è essenzialmente jazz. Il nuovo album è il seguito del precedente e rappresenta la mia anima».
Un jazz moderno, molto contaminato, spesso semplice e commerciale.
«Per me è il miglior complimento. Io ho cantato per anni i classici del jazz tradizionale, ma il jazz può anche essere noioso e snob. Credo che semplificare le sue armonie sia un grande atto di generosità, un modo per sensibilizzare il pubblico e coinvolgerlo sempre più nel mio mondo emotivo.

Che gusto c’è a rifare lo swing come fa Michael Bublè, o un brano di Ella Fitzgerald? O sei un genio come Miles Davis che li distrugge e li ricompone a modo suo, oppure è meglio cercare strade originali nel rispetto della tradizione. Una cosa è certa, non mi darò mai al rock».

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