In America la bella Amanda sarebbe già libera

«Les jeux sont faits». La pallina rotola lenta sulla ruota della nostra stramba giustizia, il croupier non ha volto, potrebbe indossare la toga o una divisa. Ma esce lo «zero». Perdono tutti.
Chi dovrebbe distinguere tra colpevoli e innocenti; chi dovrebbe proteggere il civile consorzio; chi avrebbe il compito di punire magari rieducando.
È un parallelo lontano un Oceano quello tra noi e gli americani. Eppure balza agli occhi, formidabile nella sua impareggiabile differenza. Soprattutto nelle conseguenze. Eppure ci sta.
Cosa può legare Amanda Knox, la studentessa di Seattle finita nelle italiche galere con l’accusa di aver ucciso una coinquilina a Perugia e il potente, e infamato, Dominique Strauss-Kahn, arrestato in Usa con l’accusa di violenza carnale? Eccolo l’anello che divide più dei Continenti: tempi e modi delle indagini. Delle risposte. Della libertà. Sta qui, probabilmente, la «summa della giustizia». Il politico che poteva battere Sarkozy, nel giro di un mese e mezzo torna libero. Giudici e poliziotti newyorchesi fanno retromarcia, ammettono l’errore di fronte all’evidenza.
Amanda, la biondina che canta i Beatles, nonostante le prove smontate nei suoi confronti, resta in cella. E con lei l’ex fidanzato Raffaele. Qualcosa non funziona. E non si tratta di diritto anglosassone o ius romano. Il problema sta nell’efficienza delle istituzioni, degli uomini, di una burocrazia pigra e pachidermica.
Greg Hampikian, uno dei più famosi esperti americani americani in Dna, direttore dell’Idaho Innocence Project (Iip) della Boise University, che offre assistenza gratuita nei casi difficili e controversi per tentare di evitare gli errori giudiziari, l’altro ieri spiegava: «Nel processo contro la Knox e Sollecito siamo di fronte a grossi cambiamenti. Il caso è stato smontato». L’aveva già detto in tempi non sospetti.
Brutta figura per i nostrani investigatori, per quella polizia Scientifica che si dice sia stata la prima al mondo.
Gli esperti nominati dalla Corte d’assise d’appello di Perugia per l’ennesima perizia su quel coltello e su quel gancetto di reggiseno che inchiodavano Foxy e Lele, ha rivisto le analisi. Sul primo era stato isolato il Dna di Amanda, per la precisione sul manico quello di Meredith (la vittima) sulla lama quello di Amanda; sul corpetto invece, la Scientifica aveva trovato il cromosoma Y di Raffaele Sollecito misto al dna di Meredith Kercher. Tutto sbagliato, ma alla giustizia italiana è bastato per costruire un castello di accuse.
Peccato che ora, a oltre tre anni di distanza, si scopra che non sarebbe così. Stando ai periti dell’istituto di medicina legale della Sapienza di Roma, il lavoro della polizia «non fu attendibile» e potrebbe esserci stata contaminazione dei reperti.
Sulla lama le tracce biologiche erano troppo basse per fornire dati certi. Per quanto riguarda il dna sul gancetto del reggiseno di Mez invece «vi è stata un’erronea interpretazione del cromosoma».
Infine ultima bastonata all’indagine. I nostri detective non avrebbero seguito le raccomandazioni della comunità scientifica internazionale, relative al trattamento di campioni da esaminare.
Banale ma inevitabile la conclusione.

Si trovasse dall’altra parte dell’Oceano la bella biondina dagli occhi blu sarebbe fuori. Noi, invece, rischiamo di sbagliare due volte. Tenendo in galera due forse innocenti. O scarcerandoli per una congerie di errori.

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