Gli America: «Noi, figli degli hippy, andiamo ancora di moda»

America chi? Quel trio di Ventura Highway e A Horse With No Name, quelli che con chitarre acustiche e delicate armonie vocali vendevano milioni di dischi nella California che si buttava sul bucolico con i reduci dell’utopia hippy. Certo prima di loro Dylan, i Byrds, Crosby Stills Nash e Young hanno spiazzato tutti ripiegando sulla semplicità dei suoni acustici. Ma gli America erano diversi; riuscivano a sedurti con un cocktail che univa ribellione e buoni sentimenti, l’anima del country rock e un po’ di melassa melodica, le emozioni del cuore e le immagini della strada. Poi come spesso capita ai grandi vecchi i momenti di oblio, ma gli America hanno dalla loro la semplicità che si tocca con mano passando per il cuore. Roba da cinquantenni nostalgici? Sarà, ma Dewey Bunnel e Gerry Beckley (Dan Peek se n’è andato folgorato dai Bambini di Dio) sono ripartiti con grande verve. Noi appassionati di country rock non li abbiamo mai dimenticati; poi ci ha dato una mano il Wall Street Journal rivalutandoli e ora hanno inciso il doppio cd Then and Now (metà con i loro classici dal vivo, mete con nuovi brani) e ora (ri)vivono anche in Italia (anni fa andarono a Sanremo con Survival, «Ma dei vostri artisti amiamo Zucchero», dicono) con un tour tutto esaurito nei teatri che si chiude domani a Pescara. «In realtà siamo sempre sulla breccia - puntualizza Beckley - non siamo star come un tempo ma a noi quel ruolo non è mai interessato. Siamo figli degli hippy e teniamo più di cento show all’anno negli stadi davanti a migliaia di fan. Ora riconquistiamo l’Europa».
E qualcuno potrebbe pensare a un’operazione nostalgia. «No, altrimenti che senso avrebbe stare sempre in giro? Quando ci chiedono il segreto del successo rispondiamo: scrivere belle canzoni che resistono al tempo. Ventura Highway la sanno canticchiare tutti; oggi vanno in classifica brani che dopo un mese nessuno ricorda più. Secondo voi un pittore deve smettere di dipingere, o uno scienziato di studiare?». Qualcuno li ha definiti una versione di Crosby Stills Nash e Young buonista, e gli America ci ridono sopra. «Loro sono maestri che vengono dal primo folk rock dei Buffalo Springfield e dai Byrds. Li ammiriamo ma, ora che abbiamo nuovi elementi nella band, ci sentiamo la versione acustica degli Eagles o dei Beach Boys, questi ultimi alfieri di una California da sogno. La nostra cultura rimane quella di Woodstock, anche se non c’eravamo gli influssi musicali sono evidenti, e si fanno sentire ancora oggi».
«Hanno attraversato la storia americana da Nixon a Reagan a Obama: solo loro sembrano non cambiare mai. «Siamo sempre in evoluzione. Oggi trattiamo temi attuali e siamo più elettrici. Rock vuol dire costruire una bella melodia con chitarra e voce: altro che tutta questa elettronica che butta fumo negli occhi». E le loro canzoni sono anche un’ottima ricetta anticrisi.

Troppo ottimisti? «C’è la crisi, ma le cose sono cambiate in meglio. C’è più libertà, più sensibilità per i problemi sociali, più tolleranza. Siamo una generazione sempre giovane dentro, che non ha bisogno di urlare per farsi capire».

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