Enrico Groppali
In tutta la storia del teatro pochi titoli come Amleto hanno conosciuto una serie inesauribile di riscritture, variazioni sul tema e inesauribili reinvenzioni. A volte pedisseque, spesso originali, il più delle volte eccentriche al punto da rendere arduo, se non impossibile, rintracciare sotto la vernice dei rifacimenti lo spirito immortale del Bardo.
E questo per il semplice fatto che, oltre agli scrittori che hanno voluto ad ogni costo introdurre nel corpus della tragedia la nota freudiana, tutti i registi che hanno messo in scena la tragedia del pallido prence di Danimarca torturato dallo spettro del padre assassinato hanno prodotto un Amleto sensibilmente diverso dal limpido dettato del testo. C'è chi ha visto, secondo le teorie dell'americano Vining, Amleto come una fanciulla spacciata per maschietto per ragioni dinastiche, chi l'ha degradato nel balletto classico come un fantasma creato da Ofelia nella sua follia e chi, come il surrealista americano Branch Cabell, ne ha fatto il cupo eroe di una saga vichinga.
Ma nessuno si era finora prefisso il compito di farne l'eroe straziato e, al tempo stesso divertito, di un assolo virtuosistico in cui le più accreditate interpretazioni del mitico personagio, dall'opera di Laforgue al romanzo di Updike, insieme confluiscono nell'ambito di una prova d'attore concepita come dimostrazione assoluta di tutte le virtualità dell'eroe.
Come invece ha fatto Julia Varley che, grazie a un'intuizione del suo maestro Eugenio Barba, ha lavorato magistralmente sul tessuto fonetico e la prestanza fisica di un attore inedito: Lorenzo Glejieses, partenopeo figlio d'arte che, alla severa scuola danese, ha dedicato la sua preparazione d'interprete.
In una scena spoglia Glejieses junior brancica un'asta come se fosse un cavallo, suona una campana come se Amleto e lui soltanto fosse in grado di evocare dal profondo l'immagine del Fato che, sovrastandolo, lo induce alla vendetta, precipita il suo scontroso eroe nel clima mediterraneo e irriverente del «pazzariello».
E infine insinua, da piccolo maestro dell'immaginario, il sospetto che a creare la tragedia sia stato un bambino che ad ogni costo non vuole evadere dalla stanza dei giochi.
IL FIGLIO DI GERTRUDE - di Julia Varley da Shakespeare con Lorenzo Glejieses. A Salerno, dal 12 al 28 maggio
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.