Egidio Sterpa
Non sarò a Roma per Natale alla marcia indetta da Pannella per lamnistia, ma condivido quasi del tutto le motivazioni del leader radicale. A Pannella, di cui personalmente, come egli sa, non condivido il passaggio nelle file di Prodi - glielho rimproverato in una lettera aperta - va riconosciuto il merito di affrontare, da decenni ormai, battaglie di alto valore civile. E questa dellamnistia lo è sicuramente.
So bene che non pochi lettori del Giornale sono contrari ad atti di clemenza in questo particolare momento storico, e però non esito a farmene sostenitore, illudendomi che essi quanto meno non disprezzeranno la franchezza e la chiarezza di posizioni che non mancano mai nei miei scritti. In questo caso ci sono ragioni serie e solide ad indurmi a favore di un provvedimento di giustizia che risponde, a mio parere, innanzitutto ad uno stato di necessità ed è giustificato, come scrive Croce nel suo Etica e politica dalla considerazione che la giustizia è fatta anche di compassione umana.
Veniamo al sodo. Nelle oltre duecento carceri italiane ci sono oggi, stando a dati ufficiali, circa 60mila detenuti, quando ne potrebbero contenere sì e no 40mila. Una assurda e vergognosa condizione che lo stesso Guardasigilli Castelli, pur contrario a provvedimenti di clemenza, non si stanca di segnalare sottolineando lurgenza di un programma di edilizia carceraria.
Ma non è la sola indegnità della nostra giustizia. Sullapparato giudiziario italiano gravano nove milioni circa di processi inevasi, di cui oltre tre di carattere civile e più di cinque di carattere penale. È giustizia questa? Qualche responsabilità va ascritta alla inadeguatezza quantitativa della struttura giudiziaria, ma non poca ne va addebitata alla magistratura. È una questione che risale a decenni di incuranza, aggravatasi in questi ultimi anni. Evitando le solite compiacenze tartufesche e interessate, è innegabile che questa è la oggettiva situazione. Ci sono processi che durano anni, mentre migliaia di altri giacciono in fascicoli in attesa di venire esaminati e discussi.
Sono oneste osservazioni, queste, che vengono da uomini del diritto, fra i quali appunto alti magistrati, che ne soffrono lumiliazione. Un grande moralista francese, La Bruyère, annotava già nel Seicento una considerazione valida ancora quattro secoli dopo: «È ingiustizia quella che fa aspettare troppo tempo limputato e ogni cittadino che vi ricorre».
Non è esagerazione dire con Pannella che questa della giustizia in ritardo e delle disonoranti carceri sovraffollate è forse oggi la più grande questione sociale italiana. Sta qui la motivazione più razionale per un appello allamnistia e allindulto. Giorni fa uno dei nostri più insigni giuristi, Giuliano Vassalli, ha dichiarato: «Non cè mai stato, nella storia dellItalia prima monarchica e poi repubblicana un periodo così lungo - ben quindici anni - senza amnistia e indulto. Per questo le carceri scoppiano». Lultima amnistia fu nel 1990.
Dove sta limpedimento al tempestivo svolgersi di unazione che pure tanti saggi ritengono giusta? I motivi sono diversi. Prevalgono senza dubbio il timore dellimpopolarità - nellopinione pubblica cè in effetti preoccupazione per leventuale ritorno in libertà di pericolosi criminali (ma un provvedimento ben congegnato potrebbe evitarlo) - il calcolo, interessato e peloso, che amnistia e indulto favoriscano gli avversari, infine - questo assai farisaico e demagogico - il giudizio che un atto di clemenza può essere sfruttato a fini elettorali.
Ipocrisia ce nè tanta indubbiamente. Il 14 novembre del 2002 Papa Wojtyla fu accolto trionfalmente a Montecitorio (cè una targa a ricordarlo nellaula) e venne applaudito senza riserve dai parlamentari di tutti i partiti quando invocò lamnistia. Non a caso lOsservatore Romano non ha esitato a parlare di «presa in giro». Va aggiunto che cè purtroppo una norma della Costituzione, larticolo 79, approvato nel 1992 in un clima politico assai controverso, che rende impervia la strada verso amnistia e indulto. Eccone il testo (primo comma): «Lamnistia e lindulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo articolo e nella votazione finale».
Fatti i conti, alla Camera, per esempio, la maggioranza dei due terzi si raggiunge con 407 voti. Come dire che lobiettivo, con i tempi che corrono, è quasi irraggiungibile.
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