Amritsar, fra India e Pakistan:il rito quotidiano della chiusura della frontiera

Fra India e Pakistan, uno dei confini caldi. Eppure tutto scorre tranquillo. Alla sera il rito quotidiano della chiusura della frontiera: un evento incredibile, che somiglia a una misteriosa disciplina sportiva le cui regole sembrano essere note solo a indiani e pakistani

Amritsar, fra India e Pakistan:il rito quotidiano della chiusura della frontiera

nostro inviato ad Amritsar (India)

Il soldato annoiato smette di leggere il giornale solo per il tempo necessario a sollevare gli occhi e dire “goodbye”, l'impiegato al controllo passaporti chiede di mostrare la lingua poi, accertato che non ha di fronte un drogato, timbra il documento e sorride. Un cartello all'uscita spiega che è consentito fare fotografie. La strada asfaltata attraversa due tribune e punta verso due cancelli spalancati, e la striscia continua che divide la carreggiata si ferma a pochi centimetri dalla linea di frontiera, tracciata per terra come fosse un traguardo. A presidiarlo, solo il canto dei grilli. E basta un passo per lasciare Wagah e arrivare ad Attari.

Per essere uno dei confini “caldi” del pianeta, questo tra Pakistan e India, unico varco terrestre tra i due Paesi, è sorprendentemente rilassato. E, almeno per questo mercoledì, molto poco frequentato. Sono le 13.30, e nessuno straniero finora ha varcato i cancelli tra le due nazioni, come osserva divertito l'addetto al registro mostrando la pagina ancora bianca. Mai stato così facile passare una frontiera terrestre. Ma la pace da controra estiva su questa terra divisa da due bandiere non è destinata a durare a lungo. Qui, ogni sera prima del tramonto, va in scena la cerimonia di chiusura del confine. Un evento incredibile, che somiglia a una misteriosa disciplina sportiva le cui regole sembrano essere note solo a indiani e pakistani. I quali, ogni sera, arrivano a migliaia per “fare il tifo” per la propria nazione, rappresentata da due delegazioni delle rispettive milizie di frontiera, che indossano uniformi di colore diverso ma simili nella foggia ed entrambe molto scenografiche. A dire il vero, sembra che siano gli indiani a prendere la cosa più seriamente. Mentre le tribune dal lato pakistano, a Wagah, sono piuttosto sguarnite, su quelle indiane c'è il pienone: una folla colorata ed entusiasta nonostante il sole che prima di tramontare spara le sue ultime cartucce tenendo il termometro intorno ai 40 gradi. Ma l'unico calore è quello del patriottismo. Gli speaker dai due lati del confine urlano i nomi dei rispettivi Paesi, che vengono poi scanditi, con un boato, dalla gente.

E centinaia di volontarie, donne e bambine, corrono sventolando le bandiere lungo gli ultimi centro metri di strada, mostrando i vessilli agli “avversari” dall'altro lato del cancello chiuso, mentre chi è sulle tribune fa pure la ola per non farsi mancare niente. Sul lato indiano a un certo punto nasce, improvvisata, una danza di massa in strada, con donne – e turiste – che si scatenano in un balletto che sembra venir fuori da un film di Bollywood. Poi tocca ai soldati inscenare una specie di duello rituale che il pubblico pare gradire molto. Si comincia con lunghi ululati, trascinati a perdifiato, che i capitani delle due squadre urlano nel microfono. E si continua con una serie di marcette che ricordano il passo del oca, sbattimenti di tacchi, apertura, chiusura e riapertura dei cancelli del confine, il tutto mentre il pubblico, bambini compresi, non la smette di strillare slogan nazionalisti verso i “cugini” dall'altra parte.

L'ultima cerimonia è l'ammainabandiere, che avviene in contemporanea, prima che i due “capitani” si stringano fugacemente la mano per poi richiudere il confine sbattendo platealmente i cancelli. Eppure questo rito collettivo per quanto marziale sembra dare il senso di una vicinanza tra le due nazioni, se non altro perché le coreografie dei soldatini sono talmente sincronizzate che devono essere state codificate. E se si gioca in due, le regole devono conoscerle entrambi i concorrenti. Inoltre, rispetto al calcio, o al cricket che è molto più caro a indiani e pakistani, la cerimonia di Wagah e Attari ha l'indubbio vantaggio che, ogni sera, entrambe le tifoserie tornano a casa contente. Conta poco che l'urlatore pakistano avesse più fiato in corpo del capitano indiano: il barbuto sikh di Amritsar che sotto il suo turbante rosso sventola la bandiera e solleva suo figlio, che per la prima volta assiste alla cerimonia, lasciando la tribuna non ha dubbi.

“India is the best”, dice sollevando i pollici, raggiante, mentre il sole ormai è sparito. Peccato che le tensioni tra i due Paesi, che dal secolo scorso schierano soldati molto meno coreografici e molto più agguerriti sul confine conteso del Kashmir, non possano sublimarsi tutte così.

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