Obama non parla perché non può. «Cè solo un presidente in carica ed è Bush». Segue e aspetta. Ha saputo degli attacchi israeliani cinque minuti prima che i caccia di Gerusalemme sganciassero le bombe. Lha chiamato Condoleezza Rice, subito dopo aver telefonato al presidente Bush. LAmerica sapeva, lAmerica non poteva intervenire, lAmerica non voleva intervenire. Il clan Obama non può ancora mostrare come vorrà muoversi nel caos israelo-palestinese. Continua a ripetere il ritornello dellunico presidente in carica come una specie di mantra di avvicinamento al 20 gennaio. Il mondo si chiede se questo è lultimo colpo di coda dellAmministrazione Bush o il primo accenno dellidea della politica estera obamiana. Forse è semplicemente la stessa cosa. Perché lidea per il Medio Oriente del presidente uscente non è diversa da quella del suo successore: lo dice la scelta di confermare Gates alla Difesa, così come quella di aver dato il Dipartimento di Stato a Hillary Clinton. Allora il 20 gennaio potrebbe essere solo una data simbolica: sottotraccia lo staff del presidente sta lavorando alla strategia mediorientale da prima dellelezione. E la strategia, al di là delle potenziali uscite pubbliche fino al giorno dellinsediamento, sarà di appoggio quasi incondizionato a Israele. I palestinesi erano stati avvertiti più volte dal futuro presidente: «LAmerica è amica di Israele. Io sono amico di Israele».
E il team del presidente eletto ieri ha fatto capire che lattacco israeliano alle postazioni militari di Hamas è condiviso. Gli uomini comunicazione obamiani hanno fatto circolare il retroscena dellultima visita di Barack in Israele. Lestate scorsa, da candidato alla Casa Bianca, Obama andò a Sderot e fece un discorso forte, deciso, chiaro: «Se qualcuno lanciasse missili sulla casa nella quale stanno dormendo le mie figlie, non aspetterei un solo attimo per fare tutto quello che è nelle mie possibilità per fermarlo. E credo che Israele stia facendo altrettanto». Sderot perché è lobiettivo principale dei razzi Qassam palestinesi che arrivano da Gaza. Obama adora i simboli e questo ritorna il giorno dopo lattacco israeliano a Gaza. Non ci sono casualità nella sua tattica comunicativa, ma solo punti da mettere in connessione: Barack non parla, ma veicola lo stesso il suo messaggio. Chi vuole capire capisca. E allora adesso lAmerica e il mondo sanno che il presidente Barack sta con Gerusalemme perché Gerusalemme si difende anche quando attacca. Punto fermo, Israele. Lo è stato in campagna elettorale con laiuto della lobby ebraica che lha appoggiato e lo è stato nelle scelte fatte per la sua squadra: gli uomini filo-israeliani del team del presidente eletto sono potenti e influenti. Si comincia dal vicepresidente Joe Biden e si va avanti con il capo di gabinetto Rahm Emanuel. Obama ha elaborato con loro la strategia mediorientale del suo mandato: controllare lIran considerato «un problema per lumanità», sì a uno Stato palestinese, ma solo se sarà garantito il diritto allesistenza e alla totale sicurezza di Israele. In altre parole, il concetto è far fuori Hamas dalla scena politica.
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