Ancelotti: «Io in Nazionale? No, preferisco allenare la Roma»

Completo grigio e camicia azzurra, dopo oltre 4 mesi a Chelsea, la lingua madre di mister Carlo Ancelotti è ormai l’inglese. «Lo parlo tutto il giorno», confida e con un quasi perfetto «how are you?» si presenta alle telecamere di Pierino Chiambretti e del suo “Chiambretti Night”. Parlano un po’ di tutto Chiambretti e Ancelotti (che ha devoluto l’intero gettone di partecipazione alla fondazione di Stefano Borgonovo): del passato – Juventus e Milan –, del presente – il Chelsea e la vita londinese -, dei presidenti – Berlusconi e Abramovich – e del futuro di Carlo Ancelotti. Non c’è la nazionale italiana nei progetti del tecnico, bensì un possibile ritorno in giallorosso: «In un futuro lontano – ammette – mi piacerebbe tornare alla Roma, mentre ora non penso ad allenare la nazionale italiana». E anche sulla successiva domanda di “Pierino la peste”, Cassano sì o no in azzurro, Ancelotti sfodera un elegante catenaccio: «Non spetta a me decidere, Lippi ha tutti gli strumenti per fare la scelta migliore».
Naturalmente, l’intervista non può che iniziare dal Milan, dal difficile momento che l’intera squadra sta vivendo e da Leonardo. «Leo – attacca Ancelotti – deve stare tranquillo e lavorare con serenità perché gode dell’appoggio di tutta la società. C’è da tappare qualche falla, soprattutto in attacco, ma non affonderà». E sulla panchina di Leonardo, il consiglio che manda Ancelotti al collega è semplice e diretto: «Stia tranquillo, perché non esiste panchina che non sia traballante...». E poi: «La fine del rapporto col Milan è stata la logica conclusione di una grande avventura. Con Berlusconi il rapporto è sempre stato buono – prosegue Ancelotti –: l’ultima volta che ci siamo sentiti è stata quando sono passato al Chelsea». Ma al Milan chi faceva le formazioni, s’interroga Chiambretti: «Una volta Berlusconi e una volta Galliani», ammicca Ancelotti prima di passare a raccontare un curioso aneddoto: «Prima della finale di Manchester, il presidente si era seduto tra i giocatori per seguire l’ultima seduta tecnica. Io distribuii dei fogli con alcuni schemi e anche Berlusconi ne prese uno. Poi andò in trasmissione da Vespa con quei fogli e disse che erano le mosse che avevamo studiato insieme...».
Se Berlusconi rappresenta il passato, ora il presente di Ancelotti è il magnate russo Roman Abramovich: «Entrambi sono dei grandi appassionati di calcio: l’unica differenza che li divide è che Abramovich non ha mai rilasciato un’intervista». Anche la stampa inglese è differente da quella italiana: «Qui – spiega – si parla tutta la settimana della partita, mentre in Inghilterra è il contrario: i giornalisti non vogliono sapere la formazione in anticipo e non parlano di moduli o tattiche. A loro piace di più il pettegolezzo o sapere se ci sono tensioni o diverbi negli spogliatoi».
Scorrono le immagini del glorioso passato di Carletto, c’è la finale di Istanbul, «ancora non ho capito cosa sia successo», come la vittoria di due anni dopo sempre contro il Liverpool, «un trionfo nato la notte di due anni prima».

Impossibile una domanda su Mourinho, che Ancelotti schiva e rispedisce al mittente: «Non conosco Special One – sghignazza – e se lui pensa di essere Gesù, io di certo non sono uno dei suoi discepoli». Qualche battuta sulle passioni culinarie e una domanda finale: cosa conta nel calcio? Più il culo o il culatello? «Il culatello», of corse.

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