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Anche Basso per il giro della Padania

«Macché correnti, sono solo vendette personali». I leghisti, abbottonatissimi, liquidano così (o almeno ci provano) il caso di Monica Rizzi, l’assessore accusata di aver redatto dossier illeciti contro alcuni colleghi «scomodi». Ma è ovvio che dietro all’inchiesta ci sia dell’altro.
Bazzicando gli ambienti regionali del Carroccio, il quadro prende contorni un po’ più chiari. Da un lato c’è «il cerchio magico» attorno a Bossi e a Bossi jr, dall’altro tutti gli altri, tra cui il capogruppo lombardo Stefano Galli. Che, in un primo momento, quando la Rizzi fu attaccata per la questione del falso curriculum e della laurea inesistente, aveva difeso la collega. Poi però, alla notizia delle perquisizioni per i presunti dossier (tra cui uno contro di lui), sembra aver semplicemente detto: «Evviva le Fiamme gialle». «Le dimissioni della Rizzi? - dichiara ufficialmente - Dovrebbe valutare secondo coscienza».
Fu lo stesso Galli, giocatore libero all’interno del Carroccio, a sollevare il caso delle tangenti sulle tv negli ospedali e a portare l’attenzione dei pm su un collaboratore dell’assessore alla Sanità Luciano Bresciani. E, guarda caso, Bresciani, assieme alla Rizzi, è un altro dei fedelissimi di Bossi. Ieri, alla presentazione del Giro di Padania, c’era lui al fianco della collega sotto accusa al posto di Umberto Bossi, bloccato a Roma. È vero che essendo assessore alla Sanità era suo compito presenziare all’evento, ma è anche vero che fa parte della stessa squadra.
Assente invece Renzo Bossi, considerato un protetto della Rizzi e al centro, suo malgrado, della bagarre. Qualcuno sostiene che il «Trota» abbia deciso di non partecipare alla conferenza, pur essendo un grande patito di ciclismo, per non inimicarsi ancora di più i leghisti che non lo vedono di buon occhio. Lui si limita a dire: «Tutti sanno che con questa inchiesta io non c’entro. Potete chiedere a chiunque: io ho girato tutta la provincia di Brescia, comune per comune, per più di due mesi e la giro ancora adesso per ascoltare la gente, quindi non è quello il problema».
Eppure sembra proprio che la sua candidatura a Brescia abbia suscitato non pochi mal di pancia e qualche siluramento di troppo. La Rizzi, che gli avrebbe passato i suoi voti, sarebbe stata ricompensata con un bell’assessorato in Regione, ma altri si sono dovuti accontentare delle briciole. Sarebbero proprio queste persone le vittime dell’attività di dossieraggio e della raccolta di informazioni pungenti per bloccare possibili vendette. Dicerie?. Tra i «nemici» di Bossi jr, la Rizzi avrebbe individuato Stefano Galli, un dirigente dell’Asl di Mantova, la vicesindaco di Salò e l’ex consigliere Enio Moretti, scartato per lasciare spazio «al figlio del capo» e ricompensato con un ruolo di capo staff del sindaco di Chiari e con la poltrona di una municipalizzata. «Dossier contro di me? Non sono stato avvisato da nessuno. Chiamerò io la polizia per vedere se esistono» commenta. E ci tiene a precisare la sua posizione: «Non ho nulla contro Renzo. Anzi, un giorno vorrei spiegargli quanto ho fatto per la Lega e per suo padre, al di là di quello che gli può aver raccontato la Rizzi». Secondo Moretti, dietro a questa storia, «non ci sono correnti ma invidie. La Rizzi mi temeva ma io non temevo lei e non la temo ora». La protetta del Senatùr, la mentore di Renzo, sembra un po’ isolata: se dal punto di vista giudiziario continua ad essere tranquilla, dal punto di vista politico il tempo volge al brutto. «Per me la Lega è Bossi - ha detto più volte lei - riferisco solo a lui e non mi sento abbandonata dal partito».

La Rizzi non teme nemmeno ripercussioni per la storia di Adriana Sossi, la maga arruolata tra i collaboratori della Regione: «È semplicemente sorella di un ex assessore del Comune di Nave (Brescia) e mi ha seguito la rassegna stampa».

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