Anche una cena può favorire il dialogo Arabia-Israele

Sommersa dalla valanga di notizie sulla recensione mondiale, la conferenza promossa dall'Onu a New York il 13 novembre scorso sulla tolleranza religiosa ha attratto poca attenzione. «Non sottovalutatene l'importanza», ha scritto Tony Blair che a Gerusalemme cerca da oltre un anno di allentare i nodi del secolare conflitto arabo-israeliano in un illuminante articolo apparso lo stesso giorno sul International Herald Tribune intitolato «Re Abdallah e gli scettici».
Se la riunione interconfessionale fosse stata soltanto un’iniziativa delle Nazioni Unite sarebbe andata ad aggiungersi alle molte altre fallite dell'Onu. Ma a tirare le fila della conferenza c'era l'imponente enigmatica figura del re dell'Arabia Saudita, Abdallah. Dopo aver rilanciato il piano saudita per la soluzione della crisi palestinese - approvato dalla Lega araba - che offre a Israele il riconoscimento e la pace in cambio del ritorno dei rifugiati palestinesi e la ritirata alle frontiere del 1967, il sovrano con la prudenza del leader legittimato dalla stretta osservanza islamica, ha scelto la strada della religione per riaprire il dialogo politico.
Ha incominciato convocando a Madrid i rappresentanti delle tre religioni monoteistiche, rabbino israeliano incluso. Poi per dimostrare che le sue intenzioni erano solo spirituali, ha rifiutato di diminuire, come chiedevano gli altri membri dell'Opec, la produzione saudita di petrolio provocando il crollo del prezzo del greggio e ridimensionando il potere contrattuale della Russia e dell'Iran. Per la prima volta re Abdallah - e con lui tutti gli altri capi di Stato arabi - non ha abbandonato la sala della conferenza interreligiosa quando il presidente israeliano Peres si è alzato a parlare.
Nessuno sa quello che i due possono essersi detto alla cena offerta dal Segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon. Ma l'aver «rotto il pane assieme» è un fatto simbolico. Anche se i sauditi non agiscono per mutati sentimenti verso Israele, è chiaro che sono preoccupati dalla sfida, politica e religiosa, che l'islam sciita rivoluzionario iraniano lancia all’islam sunnita tradizionalista. Lo scontro fra i due islam non risolve ma offusca quello palestinese, spiega Tony Blair e mette a confronto due atteggiamenti musulmani. Quello di coloro impegnati in una lotta senza quartiere contro i non credenti, rifiutando ogni apertura che potrebbe indebolire lo sforzo di ricreare il mitico passato Califfato. E quello dei musulmani che senza volersi occidentalizzare si preoccupano del messaggio morale dell'islam e non rifiutano una modernizzazione fondata sul rispetto della tradizione islamica.
Nel momento in cui il conflitto fra i due islam diventa scontro «di idee, di cuori, di menti oltre che di armi», il re saudita si propone come campione della coesistenza facendo della soluzione del problema palestinese un «elemento vitale» della sua politica.

Un «sine qua non» scrive Blair, di ciò «che si può fare», citando il motto di Obama ormai presente nella campagna elettorale in corso in Israele prima ancora che siano note le intenzioni del nuovo presidente americano nei confronti delle crisi mediorientali.

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