Anche De Gregori si ricrede: Berlusconi mi piace

«Se modernizza l’Italia farà soltanto il bene di tutti»

da Roma

Chiamateli «ricredisti» se vi va. Perché ci stanno ripensando, e perché sono ormai un piccolo partito. Oppure, se volete ritagliare sulle loro figure una nuova categoria politica, potete persino parlare di «sinistra Berlu-possibilista»: perché pur mantenendo la sua identità, riconosce all’avversario storico dignità e ragioni. Certo è che ieri, dopo l’ultima intervista di Francesco De Gregori a Vanity fair, un altro dogma di fede è caduto, nel momento in cui il più importante cantautore della sinistra è arrivato a dire: «Berlusconi ha una solida maggioranza, speriamo che la usi per modernizzare il Paese». E poi, spingendosi ancora più in là: «Se ci riuscisse, non farebbe una politica di destra o di sinistra, ma soltanto il bene di tutti».
Apriti cielo, è davvero un piccolo terremoto. Avevamo già scritto, su questo giornale, che le dichiarazioni di Adriano Celentano, che in polemica con Nanni Moretti scriveva al Corriere della sera per dire «Silvio è cambiato, io ci credo», rompevano la storica «unità d’azione» dell’antiberlusconismo. Ma quel pronunciamento veniva da un uomo che non aveva rapporti con la cultura della sinistra italiana, anzi. Era stato sdoganato, a sinistra, solo dopo i suoi pronunciamenti antiberlusconiani. Adesso invece, a parlare, è il cantautore che nei combattutissimi anni Ottanta scriveva per il Pci un inno criptico e poetico a non arrendersi allo yuppismo («Non sarà il canto delle sirene/ che ci innamorerà/ lo conosciamo bene/ l’abbiamo sentito già»), che crocifiggeva Bettino Craxi («L’uomo ragno»), che ha cantato Pier Paolo Pasolini («A Pa’») e «Il fischio del vapore» della tradizione novecentesca, insieme all’impegnatissima Giovanna Marini. Ovvero incidendo un disco che - solo cinque anni fa - sbancava al Botteghino riscoprendo i canti delle mondine, Bella ciao, e persino un canto celebrativo della guarigione di Palmiro Togliatti dopo l’attentato di Pallante: «All'Onorevole Togliatti auguriamo/ che ritorni ben presto al suo posto/ a difendere al paese nostro/ l'interesse di noi lavoratòòòor». Ebbene, quello stesso De Gregori, a Vanity fair oggi dichiara, riferendosi al suo inno all’«Italia che resiste», del 1979: «Allora ero molto più manicheo: da una parte i buoni, dall’altra i cattivi. Oggi non vedo queste due Italie così contrapposte. Mi piace pensare a un unico Paese che, insieme, può trovare un modo per migliorare le cose». È vero, De Gregori aveva già cantato «Il cuoco di Salò», inno minimale e umanissimo che rompeva le interpretazioni demoniache del «nemico». Ma quello che dice presentando il suo nuovo album «Per brevità chiamato artista» è molto più attuale e più dirompente. Se non altro perché si inserisce in un piccolo movimento culturale. Molti hanno citato, in questi giorni, la prima apertura «a destra» di un intellettuale come Michele Placido, che ha trovato parole di grande apprezzamento per il progetto sul cinema messo a punto da Luca Barbareschi: «Il tuo documento, Luca è interessantissimo... Siamo caduti in trappole di altri governi. Con quelli amici è stato persino peggio». E anche Placido è al di sopra di ogni sospetto: pochi giorni prima del voto a momenti faceva a botte con Raffaele Lombardo. E non meno sorprendenti erano state le parole di Giuliana De Sio per Gianni Alemanno («Sono d’accordo con il sindaco, favorevole alla difesa del cinema italiano danneggiato dallo strapotere degli americani»). O addirittura l’invocazione di un altro cantante come Ron: «Magari Alemanno si schierasse con gli italiani anche per la musica!». E che dire di Leo Gullotta, iscritto a Rifondazione, che interrompe la sua tournée per andare - gratis! - a leggere un capitolo del libro di Giampaolo Mattei, «La notte brucia ancora» che racconta il rogo di una famiglia missina? Per non parlare di uno che aveva già fatto altri strappi come Antonello Venditti, e persino di Jovanotti: «La musica non è né di destra né di sinistra, mi fa piacere che Bondi mi apprezzi». Un intellettuale di sicura appartenenza al Pd come Gianni Borgna è stato elogiato dall’intellettuale di punta della Destra sociale alemanniana, Giano Accame, che ha detto: «È bravissimo, deve restare al suo posto». E l’interessato, ridendoci sopra: «Ci sono momenti della mia vita, come questo, in cui scopro di avere più amici a destra che a sinistra!».
Di fronte a tante prese di posizione, che hanno radici diverse e storie diverse, la prima tentazione è quella dell’ironia facile. Se non il ricorso alle categorie antiche del trasformismo e del gattopardismo italiano. «I divi sterzano a destra», ha scritto su La Stampa una corsivista al vetriolo come Maria Corbi, osservando che «le prede si consegnano volontarie» ai rappresentanti del nuovo governo, e ironizzando sulla facile fascinazione dell’intellighentia per Gianni Alemanno. Ma è anche vero che quando nel partito dei «ricredisti» si iscrivono nomi del calibro di Borgna, Placido, Gullotta o De Gregori, l’idea che sotto le aperture ci sia una ricerca di regalìe fa un po’ ridere. Nessuno di questi vip ha bisogno di governanti compiacenti per poter lavorare, tutti hanno status consolidati, professionalità indiscusse, carisma e fama.

Forse stavolta «il ricredismo» non fa rima con «opportunismo». Ma con «possibilismo», piuttosto. Non è una cambiale in bianco, ma un’apertura di credito consapevole. Il che, in un Paese martoriato dall’ideologia della faida come l’Italia, è già un bel passo avanti.

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