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Anche i pomodori emigrano al Nord

Anche i pomodori emigrano al Nord

Carlo Baruffi non è più un pioniere: ormai è uno come tanti. Una quindicina d'anni fa cominciò a piantare ulivi in provincia di Sondrio. Il Comune in cui li mise a dimora ha un nome ben augurante: Poggiridenti. Baruffi lo fece quasi per scherzo, i conoscenti lo prendevano in giro, gli chiedevano se avesse confuso la Valtellina con il lago di Garda. Oggi sui pendii più soleggiati scavati dall'Adda, a 500-600 metri di altitudine ai piedi delle Alpi Retiche, le piante di ulivo sono oltre 10mila su più di 30mila metri quadrati di terreni. Siamo oltre il 46° parallelo. Là dove c'era l'erba da pascolo e dove i vini hanno nomi rudi (Sassella, Grumello, Inferno) ora si produce un olio gentile. Così come in Friuli Venezia Giulia, altra regione settentrionale che fino a qualche anno fa era famosa soprattutto per le grappe e le caserme.

È l'impatto dei cambiamenti climatici. Colture tradizionali delle regioni meridionali risalgono l'Italia abbandonando il Mediterraneo per avvicinarsi alle Alpi, in territori dalla morfologia e dalle condizioni ambientali apparentemente proibitive. L'ulivo è un caso sorprendente. Secondo stime Istat, nel 2006 al Nord si produceva l'1,2% delle olive italiane, nel 2017 si è passati all'1,8. Si frange olio non più soltanto sulla riviera ligure o lungo le sponde del Garda, ma anche in molte aree prealpine, da Sondrio a Pordenone, dal Canavese a Trieste. Le superfici coltivate a ulivi nel Nord Italia sono più che raddoppiate, passando da quasi 42mila a oltre 103mila ettari.

LE MIGRAZIONI

«È un evento che osserviamo da tempo», conferma Samanta Zelasco, ricercatrice del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria) e tra i referenti italiani del progetto europeo Olive-miracle. «L'aumento delle temperature medie e il calo delle precipitazioni impattano la biologia fiorale e portano varietà come l'ulivo a insediarsi in areali finora non occupati perché trovano microclimi più favorevoli. Occorre comunque fare grande attenzione perché queste piante soffrono i ritorni di freddo: fenomeni come il Burian dell'inverno scorso creano danni enormi a coltivazioni come la Casaliva, l'oliva più diffusa nell'Italia settentrionale. L'ulivo non è una pianta autoctona del Nord e occorre studiare quali sono le varietà più idonee, cioè quelle in grado di sopportare lo stress fisico e quelle adatte ad aree a elevata altitudine».

L'emigrazione dell'ulivo non è un fenomeno isolato. Metà della produzione di pomodori per l'industria conserviera non viene più da Sicilia, Puglia e Campania, la terra della pummarola, ma cresce al Nord, nei campi della Pianura Padana: sempre l'Istat calcola che 27,5 milioni di quintali su 56 milioni di quintali complessivi di «oro rosso» per l'agrindustria sono prodotti dall'Emilia Romagna in su. Si sta spostando anche il grano duro per la pasta, altra coltura tipicamente meridionale: nel 2006 se ne raccoglievano 2,5 milioni di quintali al Nord e 28,7 milioni di quintali al Sud che sono diventati, nel 2017, 6,8 milioni di quintali nel Settentrione e 27,3 milioni di quintali nel Mezzogiorno.

Estati sempre più roventi, inverni sempre più miti, siccità prolungate determinano un profondo cambiamento nell'agricoltura. Il Nord Italia evolve verso climi più temperati, richiama colture tradizionali delle aree mediterranee e modifica tecniche di coltivazione secolari. Per il vino la vendemmia è sempre più precoce: in alcune zone l'uva viene raccolta già ai primi di agosto. L'alcol nel vino è aumentato di 1 grado negli ultimi 30 anni.

GRAPPOLI D'ALTA QUOTA

Il caldo ha cambiato anche la distribuzione sul territorio dei vigneti che, riferisce la Coldiretti, tendono a salire di quota: in Val d'Aosta la vite sfiora i 1.200 metri di altezza come nei comuni di Morgex e La Salle, dove dai vitigni più alti d'Europa si producono le uve per il doc Blanc de Morgex et de La Salle. E in Svizzera crescono le palme, simbolo dei tropici. Nel Canton Ticino l'Ufficio federale per l'ambiente ha classificato come specie invasiva una varietà di palma (Trachycarpus fortunei) tipica della Cina; laggiù viene usata per produrre fibre tessili mentre sul lago di Lugano è un'infestante che mette a rischio la flora locale.

Secondo una ricerca pubblicata da Science, oltre quattromila specie vegetali percorrono in media 8 chilometri ogni 10 anni verso Nord. Parallelamente il Meridione italiano si trasforma in una regione dal clima subtropicale. Non è detto, però, che sia soltanto un evento dannoso. In Sicilia da qualche anno si coltivano la banana, il mango, l'avocado, la papaia, la melagrana, l'arachide, ma anche varietà meno conosciute come la mela annona, il litchi, la guava, la noce di macadamia. Frutti esotici il cui insediamento è favorito dalla trasformazione delle condizioni ambientali e che sono sempre più richiesti dai consumatori: mango e avocado sono entrati anche nel paniere dell'Istat dopo l'ananas.

TROPICI A SUD

La produzione di melograni nel Mezzogiorno è balzata da 2.263 quintali del 2006 ai 53.267 quintali del 2017, di cui 31.920 quintali in Sicilia e 20.607 in Puglia. Nelle campagne di Palermo crescono i banani: 1.200 piante rendono 100 quintali l'anno di frutti. Sono produzioni ancora di nicchia che però crescono rapidamente perché la frutta tropicale made in Italy è molto trendy. Accanto alle opportunità di aprire ed esplorare questi mercati, le anomalie climatiche provocano anche gravi danni. Coldiretti stima in 14 miliardi di euro il conto pagato dall'agricoltura italiana negli ultimi dieci anni per gli sfasamenti stagionali che producono siccità, alluvioni, grandinate. I cambiamenti climatici si portano dietro anche la diffusione di parassiti .

Il batterio della xylella ha fatto strage di ulivi in Puglia e ad almeno cinque anni dall'inizio dell'epidemia (i primi casi si manifestarono tra il 2011 e il 2013 nel Salento) l'emergenza è lontana dall'essere risolta. Il cinipide galligeno, chiamato anche vespa cinese, ha decimato i castagni allargandosi fino alla Slovenia e alla Francia. Il punteruolo rosso, un coleottero originario dell'Asia, ha colpito decine di migliaia di palme mentre il citrus tristeza virus causa una patologia chiamata «tristezza degli agrumi».

Sono parassiti che proliferano grazie alle nuove condizioni ambientali offerte dall'Italia, un Paese dove anche le piante si spostano al Nord.

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