Mariastella Gelmini non può sentirli (io sì, perché sono in contatto telepatico col defunto), ma a lei sono indirizzati applausi dal Paradiso, il che dovrebbe riempirla di un certo orgoglio. Ad applaudire è il maestro Manzi, la cui causa di beatificazione qualcuno dovrebbe prima o poi avviare.
Alberto Manzi divenne un personaggio popolare nel 1960, allorquando, con un programma televisivo intitolato «Non è mai troppo tardi», insegnò a leggere, a scrivere e a far di conto (come si diceva allora) a decine di migliaia di italiani. Manzi non compilava pagelle «televisive», lo faceva però nella scuola dove insegnava, e quando dal voto si passò al giudizio, si rifiutò di compilare quelle che furono battezzate schede, poiché considerava un maestro elementare non allaltezza di tracciare un profilo psicologico (gravissime potevano essere le conseguenze sulla personalità di un ragazzo, in caso di errata descrizione delle qualità morali, e delle facoltà mentali) e per questo fu sospeso.
Dal profilo psicologico si passò qualche anno dopo alle lettere. Questa nuova forma di valutazione era considerata un ottimo «strumento di comunicazione con le famiglie e di certificazione dei risultati ottenuti». Secondo tale ottimistica visione, il papà di un ragazzo di Scampìa, per esempio, avrebbe dovuto capire che la A indicava il pieno raggiungimento degli obiettivi, la padronanza dei contenuti e capacità di trasferirli nella forma adeguata; la B una debole e non del tutto autonoma elaborazione dei dati acquisiti; la C una capacità di acquisizione ancora superficiale e lacunosa; la D uninsufficienza sia al momento dellacquisizione che in quello dell'elaborazione; la E una notevole distanza dagli obiettivi anche minimi previsti.
Le lettere dellalfabeto si rivelarono un fallimento, e si passò al portfolio, una specie di Zibaldone leopardiano con in più un Codice Genesi (per il suo autore, Michael Drosnin, nelle 304.805 lettere dei primi libri della Bibbia si nasconderebbe un codice segreto) che mandò al manicomio i professori.
Ora si ritorna ai numeri, grazie ai quali il grado di conoscenza e di abilità di uno studente risulterà chiaro a tutti: alunni e genitori. Come il solito, a non gradire è la sinistra, secondo cui i voti (i voti cattivi, evidentemente) «distruggono la personalità del fanciullo».
Quando dal voto si passò al giudizio, i nipoti di Marx furono comunque presi dallansia: anche il giudizio poteva traumatizzare i ragazzi (tutto traumatizza i ragazzi. Tanto vale esprimersi col linguaggio dei sordomuti). E allora in molte scuole circolarono veline che suggerivano di scrivere «non ancora del tutto sufficiente» invece di «insufficiente»; «assai vivace» invece di «indisciplinato», «assorto in pensieri extrascolastici» (questa è metafisica) in luogo di «distratto», ecc.
Quella che Goldoni, giustamente, chiama «imbecillità pedagogica», trasformò pian piano la scuola nel grande incubatoio di permissivismo e impunità che tutti conosciamo.
Quando un atleta sale sul gradino più alto del podio, questo è segnato col numero 1 (e col 2 e il 3 quelli appena più in basso); non cè mica scritto «pieno raggiungimento dell'obiettivo prefissato: la vittoria» o non compare la lettera A. I voti, i numeri, li «capiscono» tutti, non cè bisogno di un corso di pedagogia accelerato, e poi fanno anche faticare di meno chi deve assegnarli.
Per aver letto frasi come queste: «La ragione della nessuna ragione, che alla mia ragione vien fatta, rende sì debole la mia ragione, che a ragione mi dolgo della vostra ragione» e don Chisciotte uscì di senno, rinunciando al sonno pur di comprenderle e trarne il senso.
A simili ragionamenti, nella compilazione delle schede, la scuola è andata assai vicina. Era tempo che i numeri semplificassero le cose, ed è tempo che lo capisca anche la sinistra.
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