Anche Napolitano difende i militari: «L’Italia non fa missioni di guerra»

Il presidente della Repubblica loda le forze armate e cita la Costituzione: «Obbligati a partecipare alle azioni delle organizzazioni internazionali»

Anna Maria Greco

da Roma

Alessandro è morto in una missione di pace in Irak, parola di Giorgio Napolitano. È il giorno dei funerali del caporal maggiore Pibiri, a Roma, e il presidente della Repubblica prima di andare a consolare la famiglia a San Paolo fuori le Mura, prima di portare l’omaggio del Paese a quella bara avvolta nel Tricolore, lancia un messaggio dal Quirinale che sgombra il campo da misere polemiche.
Quelle italiane all’estero sono «missioni militari ma non di guerra», dice chiaramente Napolitano. L’occasione è la visita del capo di Stato Maggiore della Marina, l’ammiraglio Paolo La Rosa, e della delegazione ricevuta in occasione dell'anniversario dell'impresa di Premuda, del 1918.
Non è tutto, perché il Presidente aggiunge una frase importante, che sull’articolo 11 della Costituzione, bandiera dei pacifisti, mette un accento ben diverso. Sottolinea, infatti, che è doveroso per il nostro Paese partecipare alle missioni delle organizzazioni internazionali, per «assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni». È lo stesso articolo della Carta di cui i gruppi pacifisti ricordano invece solo l’inizio, «L’Italia ripudia la guerra...», per criticare gli interventi militari italiani all’estero, come nel caso dell'Irak, dell’Afghanistan o, ancora prima, della ex-Jugoslavia.
Napolitano nel suo discorso non parla di Irak o di Afghanistan, né di Ue, Onu o Nato. Ma il riferimento è evidente. E anche la sua volontà di sottolineare la nobiltà delle missioni in cui militari, come il giovane sardo Pibiri, hanno perso la vita e altri come i militari della Brigata Sassari ricoverati, sono stati feriti.
«L’Italia - dice il capo dello Stato - ha bisogno dell’insieme delle forze armate al più alto livello di modernità ed efficienza per adempiere ai propri doveri di partecipazione alle organizzazioni internazionali che, come recita l’articolo 11 della Costituzione repubblicana, sono impegnate ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni».
L’incontro sul Colle è servito a Napolitano per ristabilire l’ordine delle cose e poi il Presidente della Repubblica va nella basilica romana, dove si celebreranno i funerali di Stato del militare ucciso nell’attentato terroristico in Irak. A larghe falcate percorre la navata centrale di San Paolo fuori le Mura e va dritto dai genitori e dal fratello di Alessandro, dalla fidanzata Valentina.
La sua stretta di mano commossa assomiglia alla carezza con la quale due giorni prima, all’aeroporto di Ciampino, ha salutato la bara nella quale il militare è tornato in patria. Il viso del presidente si accosta a quelli dei familiari, per poche e sommesse parole di conforto. Poi, Napolitano prende posto in prima fila, tra le più alte autorità per seguire la messa solenne. Torna tra i familiari quando è il momento di accompagnare in corteo il feretro di Alessandro fuori dalla chiesa. Ancora un saluto a papà e mamma Pibiri, al fratello Mauro, che ha già mostrato di non gradire le strumentalizzazioni politiche dei pacifisti e alla giovane e piangente Valentina, prima di andar via.
L’altra tappa di Napolitano, sulla strada per San Paolo fuori le Mura, è stata all’ospedale militare del Celio. È lì che sono ricoverati i quattro feriti nell’attentato di lunedì che è costato la vita ad Alessandro.
Il tenente ventiseienne Manuel Pilia, il primo caporal maggiore Luca Daga, che di anni ne ha 28, il primo caporal maggiore Yari Contu, ventinovenne e il caporal maggiore scelto Fulvio Concas, 30 anni, sono i «fortunati» scampati all’esplosione. Fuori pericolo, è vero, ma non hanno potuto partecipare ai funerali di Pibiri, come avrebbero voluto. Daga, in particolare, rischia di perdere la vista e i medici non hanno autorizzato il trasferimento in chiesa. I quattro hanno dovuto seguire le esequie in televisione, dal loro letto.


Napolitano, con il ministro della Difesa Arturo Parisi e il Capo di Stato maggiore della Difesa ammiraglio Giampaolo Di Paola, si è informato delle loro condizioni e ha parlato con i familiari, prima di andare nella basilica. Alcuni dei parenti lo hanno seguito, per testimoniare il dolore e l’affetto dei loro quattro ragazzi ad Alessandro e alla sua famiglia.

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