«Ma anche»... in Sudamerica

Viaggio nella Montevideo di Tabaré Vázquez, primo presidente di sinistra in 170 anni di storia. Più che Tupac Amaru, ricorda Veltroni e Andreotti

da Montevideo
Fabricio guida il taxi e tutti i giorni, tranne la domenica, parte all’alba da santa Lucia, Florida, Uruguay, per raggiungere un’estancia non troppo lontana. Sessanta chilometri in tutto, trenta all’andata e trenta al ritorno.
Li percorre sorridendo, con la sua faccia da indio charrùa, al volante di una macchina non troppo scassata, che trasporta quattro muratori. Per propiziarsi la buena suerte, ha legato un lungo nastro rosso allo specchietto retrovisore interno. Il talismano lo protegge, visto che fila come un razzo, per le sconnesse carretteras, spiaccicando ogni tanto una puzzola o un armadillo e mettendo in fuga isolate pernici e branchi di struzzi.
Quando Fabricio arriva a destinazione, i muratori scendono e il lavoro del taxista s’è esaurito. Sono le sette del mattino e Fabricio sa che cosa fare: come un viaggiatore indiano, è provvisto di materasso arrotolato, coperta, lenzuolo e cuscino. Se non soffia il pampéro, il vento freddo del Sud proveniente dall’Argentina, srotola il suo giaciglio e lo sistema sotto la veranda, al tiepido sole dell’inverno uruguayano. Se invece fa freddo, si sistema come può nel taxi. Nell’uno come nell’altro caso, il nostro dormirà dieci ore filate. Sarebbe un magnifico collaudatore di materassi.
SOGNI POPOLARI
Al risveglio accende una sigaretta e la consuma in solitudine. Come un personaggio di Juan Carlos Onetti, scrittore di queste parti: «un uomo solitario che fuma in un posto qualsiasi della città».
Alle cinque della sera, fresco e riposato, riveste i panni del taxista e, con a bordo i muratori, se ne torna a tutto gas a Santa Lucia. Poiché Fabricio non nuota nell’oro, qualcuno gli ha offerto un lavoretto come apprendista muratore, ma lui ha risposto sdegnato di essere un taxista e non altro. Un taxista da solo due corse al dì.
Fabricio e i tanti come lui sono il peggiore incubo di Tabaré Vázquez, il presidente della República Oriental del Uruguay, il primo a capo di una giunta di sinistra in 170 anni di storia. Tabaré Vázquez incarna alla perfezione il mito dell’uomo del popolo, caro alla cultura politica latino-americana. È figlio di un operaio di Montevideo, è diventato un bravo oncologo non trascurando l’attività politica. In particolare, è stato sindaco di Montevideo e si è distinto per l’impegno a tutela dei diritti umani durante il regime militare degli anni Settanta. Nell’ottobre 2004 ha vinto le storiche elezioni alla testa del Frente Amplio - Encuentro Progresista, una coalizione di sinistra che raccoglie anche alcuni ex guerriglieri Tupamaros.
La cosa ha mandato in sollucchero marxisti nostalgici ed estimatori europei di Fidel, ma non tragga in inganno: lungi dall’amare gli estremisti, il presidente se ne serve. Lo hanno capito i trotzkisti locali, che ora accusano di «tradimento e collusione con la borghesia» il senatore tupamaro José Mujica, e detestano con tutto il cuore il ministro per l’economia Danilo Astori, un moderato.
PRAGMATISMO AL POTERE
Tabaré Vázquez ha vissuto di rendita, beneficiando dei risultati dei precedenti governi. A parole condannava la politica liberista di Jorge Battle, suo predecessore e nipote del grande presidente riformatore degli anni ’50; nei fatti, ereditava una positiva crescita economica, una disoccupazione in calo e la benedizione del Fondo Monetario Internazionale, che ancora non lesina al nuovo governo «guerrigliero» le lodi per le prudenti politiche monetarie e fiscali.
Se oggi ostenta soddisfazione per il superamento del PANES (Plan de Atención Nacional a la Emergencia Social), il piano di equità varato all’indomani della vittoria elettorale, e promette, in vista delle elezioni del 2009, nuove riforme fiscali e sanitarie, può farlo perché, più del ripristino dello Stato sociale, si è preoccupato finora di ottenere la fiducia dei mercati. Ha voluto - in contrasto con l’Argentina dei coniugi Kirchner e con gli ambientalisti - la costruzione di due fabbriche di cellulosa sulle rive del Rio Uruguay. Si tratta del maggiore investimento estero nella piccola repubblica sudamericana, da parte della spagnola Ence e della finlandese Botnia.
Il presidente «di sinistra» ha inoltre consentito, con decreto, alle multinazionali dell’acqua potabile lo sfruttamento dei giacimenti fino al 2018. Né può trascurarsi che la trionfale elezione del 2004 fu favorita proprio da un referendum sull’acqua potabile, che vide il 60 per cento degli uruguagi approvare una riforma costituzionale che garantisce allo Stato lo sfruttamento esclusivo di tali risorse.
RASSICURARE I MODERATI
Insomma, Tabaré Vázquez è l’uomo prudente che ha saputo rassicurare i moderati circa il pericolo di una deriva radicale. Ma è anche il politico della partecipazione sempre più attiva nel Mercosur; il fine diplomatico nel dialogo con le Intendencias locali, governate da tradizionali e inestirpabili logiche clientelari. Più che un tupamaro, un andreottiano...
Poiché da lui, almeno gli alleati, si aspettavano «qualcosa di sinistra», ecco che, il 18 dicembre 2007, ha fatto approvare la legge sulle convivenze, una sorta di PACS sudamericana, che contempla anche le coppie dello stesso sesso. Così, per questa discutibile conquista il ministro del Turismo Hector Lescano, ha potuto dichiarare: «l’Uruguay non ha nulla da invidiare alle più avanzate democrazie».
Dal canto suo, il presidente - che è tra l’altro un antiabortista convinto - si prepara alle elezioni del 2009, promettendo radicali riforme sociali.

Per i prossimi cinque anni si è assicurato un importante contributo dall’Unione Europea ma, in un Paese piccolo, schiacciato tra Argentina e Brasile, senza petrolio, dove la principale risorsa resta la zootecnia estensiva dei grandi proprietari terrieri, non è lo stesso facile reperire le risorse necessarie.
E il sogno di Fabricio di un salario minimo garantito gli sembrerà un incubo.

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