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Formula 1, smascherati i furbetti delle partenze

Al Gran Premio d'Europa, nel 1999, la sequenza dei semafori venne modificata appositamente per intercettare le scuderie che partivano prima. Il sospetto era che captassero il segnale in anticipo, ma non ci furono mai sanzioni

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Ci sono domeniche in cui la Formula 1 smette di essere soltanto velocità e diventa letteratura. Il Gran Premio d’Europa del 1999, al Nürburgring, fu una di quelle. Non per la pioggia improvvisa, non per il trionfo inatteso di Johnny Herbert, ma per un dettaglio all'apparenza minuscolo, eppure decisivo: le luci della partenza. Cinque punti rossi sospesi a fendere l’aria, apparentemente identici a mille altri, che invece raccontarono alla FIA molto più di quanto i team avrebbero voluto.

In quell’anno di transizione, l’elettronica era già il vero cuore della Formula 1. I controlli di trazione erano ufficialmente vietati, i sistemi di partenza automatica pure. Ma tra il dire e il dimostrare correva una distanza fatta di software invisibili e segnali decodificati. La Federazione sospettava che alcune scuderie avessero imparato a “leggere” la sequenza delle luci, trasformandola in un segnale audio capace di anticipare lo stacco della frizione di qualche millesimo. Nulla che l’occhio umano potesse cogliere. Tutto ciò che serviva per vincere una posizione prima ancora della prima curva.

Così, senza annunci, senza comunicati, la FIA cambiò le regole del gioco. Al GP d’Europa 1999 la sequenza delle luci venne modificata. Non il numero, non il colore, ma il ritmo. Un battito diverso, impercettibile per un pilota che reagisce d’istinto, fatale per un sistema che aspetta un segnale “perfetto”.

Quando le luci si accesero, accadde qualcosa di strano. Alcune monoposto scattarono con un’anticipazione quasi impercettibile. Le McLaren di Mika Häkkinen e David Coulthard ebbero una reazione fulminea, troppo rapida per essere solo un riflesso. Anche una Ferrari, quella di Michael Schumacher, sembrò muoversi con una sincronia sospetta rispetto allo spegnimento reale. Nessuna bandiera, nessuna penalità. Solo immagini, rallenty, dati. A colpire gli osservatori più attenti furono anche le Jordan gialle, scattate con un tempismo sospetto, quasi in anticipo sullo spegnersi delle luci. Heinz-Harald Frentzen e Damon Hill sembrarono reagire non a ciò che vedevano, ma a ciò che “sapevano” stesse per accadere, come se la partenza fosse stata annunciata un istante prima del via reale. Un dettaglio minimo, sufficiente però ad alimentare più di un dubbio. Gli opinionisti Rai, nel frattempo, parlarono di "sole contro le visiere dei piloti" come spiegazione plausibile.

Poi il caos. Alex Zanardi e Marc Gené si schierarono fuori posizione, costringendo la direzione gara a un nuovo giro di formazione. Ufficialmente fu quello a ritardare la partenza. Ufficialmente non accadde nulla di irregolare. Nessuna sanzione, nessuna indagine resa pubblica. Ma il messaggio era stato inviato, forte e decisamente limpido: "Sappiamo cosa state facendo".

Dopo quel giorno, le partenze “chirurgiche” si dissolsero. Le reazioni tornarono umane, fallibili. Come se qualcuno, all’improvviso, avesse spento una voce nell’orecchio dei piloti.

La Formula 1, del resto, è anche questo: un romanzo di sospetti, silenzi e intuizioni. E al Nürburgring, nel 1999, bastarono cinque luci rosse accese in modo diverso per ricordare a tutti che, in questo sport, non vince solo chi va più forte. Ma anche chi sa osservare meglio.

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