Andando via non si fa il bene di Genova

(...) Dopo aver frequentato la Liguria da ragazzo nelle mie vacanze, ci tornai nel 1983 a far visita ad un caro amico, che aveva appena comprato casa in piazza San Lorenzo: buio pesto, traffico, ambiente non certo rassicurante ed il tutto assai «délabré». Dopo cena pensai bene d'andar via e non vi ritornai fino al 2005. Presi alloggio in un albergo ricavato in un antico palazzo di fronte al Duomo: rimasi incantato, stentavo a riconoscere quel posto dopo vent'anni. Merito delle «Colombiadi», della «Città della Cultura», di Renzo Piano, del G8 e di tanti soldi «foresti».
Il sestiere della Maddalena nel dopo-guerra era «off limits», cioè la polizia militare americana non garantiva la sicurezza e proibiva ai propri soldati di recarvisi. Nel 1983 le bagasce mi dicono fossero di ceppo autoctono, ma sempre lo stesso mestiere facevano, probabilmente, come diceva il Carlo Martello di De André, con «tariffe inferiori alle tremila lire»: che sia questo a farle rimpiangere? Allora non mi sarei mai addentrato; oggi, almeno di giorno, non ci sono gravi problemi, tranne la rumenta e le migliaia di cicche di sigarette sulle strade. Non sarà certo togliendole che si risolveranno tutti i problemi, ma si farà un piccolo progresso. Ogni grande cammino richiede un primo passo. Fortunatamente ci sono persone che la pensano diversamente dal Vostro carissimo lettore ed investono tempo e denaro: i palazzi, di cui uno proprio su vico degli Adorno, di una grande famiglia genovese (e non solo quelli) che vengono restaurati uno dopo l'altro, nuovi ed eleganti ristoranti che aprono ed ora anche un albergo di lusso in via Ponte Calvi. Non è brontolando o andandosene via che si fa del bene a Genova.
Farei una scommessa col signor Del Gaudio: tra dieci anni, se i nostri amministratori, normalmente di sinistra, sapranno scrollarsi definitivamente di dosso la decrepita cultura di una parte di loro, da cui hanno origine molte forme mentali che hanno portato al degrado, e sapranno trasmettere la tradizionale cultura della città anche ai nuovi arrivati (è assai divertente in certi ristoranti sentire camerieri, palesemente non genovesi, accoglierti nell'idioma di Gilberto Govi), il Centro Storico di Genova potrebbe essere non solo uno dei più grandi del mondo, ma anche uno dei più belli, con beneficio di tutta la città. Chi oggi saprà guardare non solo per terra, dove c'è la rumenta, ma anche «in alto», cioè vedere le meraviglie dei palazzi presenti in ogni vicolo, potrà fare degli ottimi affari.
Concordo invece al cento per cento con l'affermazione del mio Critico, che i «feroci paraventi ideologici», sempre prodotto della cultura di sinistra, che rifiutando la sana filosofia naturale (Aristotele, San Tommaso), che afferma che le cose hanno una loro realtà oggettiva, e credendo nell'idealismo, cioè che le cose siano come le pensiamo o come le sentiamo, abbiano tolto la capacità di confronto col mondo che arrivava: infatti quei regimi sono tutti falliti. Però cosa ha opposto la classe dirigente e borghese degli ultimi quarant'anni? Qual è stata la risposta della massima autorità morale, la Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II? Silenzio e propri interessi gli uni, «dichiarazioni» ireniche gli altri. Ora che questa stagione ha fatto il suo tempo, si può ricominciare. Ricordi il signor Del Gaudio che ben altra cosa sono gli «ismi» da lui citati, dal cattolico concetto della tolleranza.

Siamo tutti d'accordo che certi comportamenti, certi modi di pensare su Dio e sul mondo, sono oggettivamente contrari alla Verità ed al Bene, però esistono, perché Dio lo permette: a noi trovare i mezzi giusti e proporzionati per combatterli, sempre ricordando che dietro l'errore c'è l'errante, che è una creatura che Dio ama ed io di conseguenza non posso odiare.
Con viva cordialità e stima.

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