Paolo Bertuccio
Non si sa se Genova gli dedicherà una via oppure no. Se il Comune vorrà fissare il suo ricordo in una maniera o nell'altra, purché sia formale e ufficiale. L'unica certezza è che, visitando la tomba di Fabrizio Quattrocchi, non si vede nessuna traccia di omaggi da parte delle istituzioni cittadine. Tutta l'Italia si è tolta il cappello davanti a lui, soprattutto in questi giorni, dopo aver visto il filmato in cui l'agente di sicurezza genovese mostra ai propri carnefici «come muore un italiano»; tutti - o quasi - gli italiani si trovano ormai d'accordo nel definire Quattrocchi un eroe anziché un mercenario. E così, grazie a questo riconoscimento definitivo, nel cimitero monumentale di Staglieno i lumini attorno alla sepoltura di questo ragazzo brillano più numerosi del solito.
Lo fanno per iniziativa della famiglia, degli amici e di quei privati cittadini che provano gratitudine e ammirazione per Fabrizio Quattrocchi, senza che un benché minimo pensiero arrivi da un'amministrazione che non sembra completamente convinta che avere in casa un eroe riconosciuto da tutti sia motivo di orgoglio. A quanto pare, neanche nei giorni della polemica più rovente, in cui la posizione vagamente pilatesca del Comune è valsa al sindaco Pericu critiche di ogni colore politico, a nessun esponente delle istituzioni è venuta l'idea di porre rimedio alla spiacevole situazione portando un fiore nel luogo dove riposa un genovese degno del massimo rispetto.
È un mini mausoleo, la tomba di Quattrocchi, ed è abbastanza visitata perché gli addetti alla custodia del camposanto sappiano indicare con precisione al pubblico la sua ubicazione. Bisogna attraversare i primi due archivolti e il monumento, per trovarsi di fronte ad una tomba ben curata, carica di fiori e di lumini, con una bella fotografia di Fabrizio che sorride, la stessa mostrata tante volte dalle televisioni. A fianco della lapide, un'altra targa di marmo che riporta nome e date di nascita e di morte, come si può capire scostando leggermente la gran quantità di fiori che la copre.
E poi c'è la statua. Un'idea della famiglia, il grande angelo decapitato che fa mostra di sé sulla lapide. Decapitato come lo è stato il cadavere del povero Quattrocchi. È un modo di sottolineare con dignità la barbarie con cui il ragazzo è stato ucciso ed oltraggiato, ed anche un silenzioso appello affinché non si verifichino più episodi, anche simbolici, di vilipendio della memoria di Fabrizio. Come sta accadendo in questi giorni, e ad opera di rappresentanti dello Stato italiano.
Ma Fabrizio Quattrocchi dalla gente è ricordato con fierezza, come dimostra un foglio, lasciato da un anonimo, con una frase scritta al computer: «Vil mano assassina ha ucciso il tuo corpo, ma il tuo spirito, oltre ad essere con Dio, è anche nella memoria imperitura del popolo italiano».
Un popolo che certamente ricorderà a lungo il sacrificio di Fabrizio Quattrocchi, ma che forse non riesce a capire come mai questo ricordo non parta dalle autorità della città in cui ha vissuto un eroe.
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