Ankara punta sulla Difesa all’italiana

Il commissario Rehn: «Mai stati così rigorosi con un Paese». Vienna ottiene che ora si negozi con la Croazia

Andrea Nativi

Nonostante gli strascichi della recente crisi economica e il monitoraggio del fondo monetario internazionale, la Turchia è tra i paesi che più investono nella Difesa, acquistando principalmente all’estero i sistemi per le proprie forze armate. La spesa per armamenti viene considerata come uno stimolo per l’economia, in particolare per l’industria ad alta tecnologia, da realizzare attraverso la creazione di partnership con le principali società aerospaziali e della difesa internazionali e pacchetti di trasferimento di tecnologia. La Turchia, che oggi produce localmente solo il 25% degli equipaggiamenti militari, vuole salire rapidamente al 50%, mentre entro il 2010 la spesa in ricerca e sviluppo dovrà crescere al 2% del Pil. La scelta dei fornitori avviene non solo sulla base dei meriti operativi dei rispettivi prodotti, ma anche dei rapporti politici tra i rispettivi governi.
E oggi è decisiva la linea politica che ciascun potenziale venditore sta adottando nei confronti della richiesta turca di ammissione all’Unione Europea. Stati Uniti, Gran Bretagna e Italia, che sostengono le ragioni di Ankara, sono in vantaggio, la Germania è costretta a inseguire, mentre la Francia oggi è in chiara difficoltà. Tanto più visto che la Turchia ha molte alternative quando si tratta di acquistare equipaggiamenti militari: non è certo comune per un Paese islamico comprare tecnologie e armamenti in Israele (anche la collaborazione tra le rispettive forze armate è molto stretta, in chiave anti siriana-iraniana) oppure rivolgersi a ditte della lontana Corea del Sud.
Dopo qualche anno di magra dovuto alla stretta finanziaria le Forze Armate turche tornano oggi a comprare, mentre è stato avviato un progetto di riforma volto a ridurre ulteriormente il numero dei soldati, oggi 515.000, di cui oltre 380.000 coscritti, per favorire un incremento della qualità e la modernizzazione dei sistemi d’arma. Il bilancio Difesa del 2005 ammonta a 11 miliardi di lire turche, con un aumento di quasi il 10% sul 2004 e i fondi per l’investimento sono pari a circa 3-4 miliardi di dollari all’anno.
In questo contesto le industrie aerospaziali e della Difesa italiane, grazie al sostegno politico (e agli ottimi rapporti personali tra Silvio Berlusconi e Tayip Erdogan), alle buone relazioni tra le rispettive forze armate e alla disponibilità italiana a collaborare con le industrie locali ancora recentemente hanno ottenuto significativi successi (10 aerei antisommergibili Alenia Aeronautica ATR-72 ASW) e ora sono coinvolte in diverse gare. Finmeccanica e Fincantieri sono in corso per forniture di elicotteri da trasporto e da combattimento, di velivoli da addestramento a getto, di aerei da combattimento, di artiglierie navali, di corvette e pattugliatori, di satelliti per comunicazioni e osservazioni, di sistemi per la difesa antimissile, per la sicurezza interna e la sorveglianza costiera. Finmeccanica stima che il mercato turco aggredibile valga complessivamente 4-5 miliardi di dollari. A questi si deve aggiungere il potenziale nel settore navale (Fincantieri) e in quello dei treni ad alta velocità e delle metropolitane.


Finmeccanica si appresta ad aprire entro fine anno un proprio ufficio di rappresentanza ad Ankara, ampliando l’attuale presenza delle controllate Alenia Aeronautica e AgustaWestland. E se le gare in corso avranno un esito positivo per i prodotti italiani è prevista la costituzione di joint venture, ma anche l’acquisizione di partecipazioni o della totalità del capitale in alcune industrie turche.

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