Annie Proulx, cartoline proibite dal Wyoming

Il successo della «regina» delle praterie e dei cowboy. Nata nel Connecticut, vicina alla scuola degli Annales, scrive fino a 16 ore al giorno. Soprattutto short stories

Just live. Uno sguardo alla biografia e ai libri di Annie Proulx toglierà ogni dubbio circa la sua fedeltà a questo motto, che potremmo tradurre così: «Vivi ciò di cui vuoi scrivere». Tra i suoi avi, gente dal sangue caldo: come quel Joseph La Barge cui gli indiani fecero lo scalpo durante un’imboscata. L’omonima cittadina del Wyoming ne perpetua oggi la memoria. Un altro trisavolo fu sedicente padre di 41 figli: ne contarono «buoni» solo dieci, ma lo scandalo e la fama rimasero.
Nata nel 1935 nel Connecticut da padre franco-canadese reinventatosi yankee e madre pittrice di origini inglesi, prima di cinque sorelle, Annie Proux ha seguito corsi di Storia in università del Vermont e a Montreal. Ammiratrice della scuola parigina degli Annales, da cui ha assorbito lo stile di ricerca storica, ventenne è già sposata con un uomo di teatro e madre di una figlia. Seguono: altri due matrimoni e tre figli; periodi di considerevole povertà; undici anni passati in un paesino di 400 anime, mantenendosi scrivendo articoli su tutti gli argomenti; la fondazione di un piccolo quotidiano di provincia; i primi racconti brevi per una rivista di sport, riuniti nel suo primo libro Heart Songs (1988).
I successivi romanzi Cartoline e Avviso ai naviganti la confermano come autrice di successo e pluripremiata (dal Faulkner Award al Pulitzer): può ora viaggiare, fare ricerche per Crimini da fisarmonica e dedicarsi ai suoi amati racconti brevi. Tra di essi, vendutissimo in questi giorni per via del film di Ang Lee, I segreti di Brokeback Mountain, tradotto da noi da Baldini Castoldi Dalai: storia di un amore tra due giovani cowboy, innervato dalla nostalgia per un’estate che non tornerà mai più. Capolavoro minimo, perfettamente risolto, la cui pura capacità descrittiva permette al lettore di guardare la natura del West con la stessa precisione con cui Olenin, nei Cosacchi di Tolstoj, ammira i monti del Caucaso all’altezza del suo naso.
Sei settimane dopo la morte della madre, nel ’93, Annie costruisce da sé la propria casa nel Centennial Ridge, un distretto di quel Wyoming da cui, con l’anima, non si è mai davvero mossa: la vuole isolata in cima a una collina, piena di opere d’arte, quadri, fotografie e affacciata sulle catene montuose che cambiano colore a ogni ora del giorno. Un paesaggio che provoca un brivido spirituale: «È come una nota profonda che non puoi udire ma solo provare dentro di te. Come un artiglio nelle viscere». In questo mondo, Annie pesca, spara ai procioni, riceve amici, ascolta i coyote la notte. E scrive: anche sedici ore al giorno. In ogni riga si sente la voce delle persone cui ha chiesto particolari sull’allevamento del bestiame, sui rodei, sulla caccia. Quando il contatto umano non le basta, si informa attraverso libri che compra in gran quantità: «Quando vuoi conoscere un uomo o una donna, guardi la loro biblioteca, non il loro software».

Niente ricerche su internet e niente computer «che produce una prosa troppo facile»: scrive invece a mano. E senza blocchi: lavora come i suoi protagonisti, a testa bassa, conoscendo fatica e attimi di gioia: immutabile è la natura, immutabile la lotta dell’uomo, scrittore o cowboy o tutti e due insieme.

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