La vetta della montagna è l'immagine che più ci avvicina all'idea del traguardo, con le sue difficoltà da superare, le tappe e, dunque, la cima. E se scalarla è impresa per pochi, il conoscerla e rispettarla è una missione alla portata di tutti. E, però, non meno ardua.
Stiamo bene anche grazie ai nostri 706 ghiacciai alpini (l'unico sull'Appennino è il Gran Sasso) che, assieme ai 101 «glacionevati» (agglomerati che si stanno estinguendo), formano 482 chilometri quadrati di superficie ghiacciata. Un patrimonio freddo che si sta riducendo, perchè questi numeri risalgono al censimento del 1989. Oggi il comitato Glaciologico ha avviato il nuovo catasto dei ghiacciai italiani. Spiega Claudio Smiraglia, esperto glaciologo e professore di Geografia Fisica all'Università degli Studi di Milano che «in poco meno di un trentennio l'area ghiacciata è diminuita di 43 chilometri quadrati a un ritmo annuo di 1,5 chilometri quadrati» e che «l'andamento degli ultimi decenni non è stato monitorato». Con il nuovo catasto dei ghiacciai si entrerà nello studio globale gestito dal World Glacier Monitoring Service (WGMS), ente internazionale con sede a Zurigo, e che permetterà di stimare la contrazione del glacialismo in tutto il mondo.
È fondamentale «riconoscere che un vero ghiacciaio è dotato di un suo movimento, effetto della gravità - spiega Smiraglia - Un ghiacciaio dovrebbe vivere in equilibrio fra quanto si accumula d'inverno e quanto si disperde d'estate. Oggi non è più così, in media si prosciugano 5 millimetri di spessore l'anno». L'Italia possiede un quinto dei ghiacciai alpini ma sono tutti più a sud rispetto a quelli degli altri Paesi - Francia, Austria, Svizzera e Slovenia - e dunque più esposti a scioglimento. A ciò si aggiunga che la temperatura terreste nell'ultimo secolo è in progressivo aumento. «Dal 2007 sono stati fatti esperimenti proteggendo i ghiacciai con teli geotessili. Si è intervenuti in zone di interesse economico, come le stazioni sciistiche di Presena sull'Adamello, qui nel 2008, la provincia di Trento ha finanziato la copertura di 80 mila metri quadrati, da metà giugno a metà settembre. Oppure su 150 metri quadrati del ghiacciaio Dosdè-Piazzi, in alta Valtellina, da cui la Levissima prende l'acqua. In Italia altri esperimenti con i geotessuti si sono fatti sul passo dello Stelvio». Cosa è emerso? Che la temperatura, al di sotto della protezione, rimane intorno allo zero, benchè nei mesi estivi si raggiungano anche i 20 gradi nell'atmosfera. Si è visto che il geotessile preserva il 40 per cento della neve presente sulla superficie del ghiacciaio a fine primavera, a 2.850 metri di quota e più dell'80 per cento del ghiaccio.
«La copertura, di pochi millimetri, è in polipropilene, completamente bianca, dotata di filtri UV e non assorbe il calore - aggiunge il glaciologo - I geotessuti sono stati realizzati in Austria, quest'anno sono arrivati quelli italiani. Presto avremo anche i teli biologici, derivati dal mais, per fugare l'eventualità che, durante le operazioni di rimozione, qualche frammento di polipropilene possa rimanere in circolazione».
La conoscenza della criosfera non è completa senza la mappa del «permafrost», il ghiaccio nascosto. Si deve alle borse studio della Levissima e ai ricercatori dell'Università di Milano l'approfondimento di questo «collante» naturale in Valtellina. «Il permafrost deriva da congelamento dell'acqua nelle rocce, si trova negli interstizi delle pareti di montagna.
Se è vero che le catene montuose stanno cambiando sempre più in fretta è anche vero che tocca a noi adeguarci, preparandoci e muovendoci con prudenza: anche questo è rispetto.
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