Anomalie mediatiche

È noto il giudizio che Indro Montanelli diede una volta su Eugenio Scalfari: «Non è dei nostri», intendendo dire che non è un giornalista. Come ha raccontato ancora di recente Massimo Fini proprio su queste colonne, «il suo stile è orripilante: ciceroniano, ore rotundo, privo di capacità di sintesi, involuto, avvocaticchio, retorico, pomposo, magniloquente, sussiegoso, oracolare. E corrisponde perfettamente all’uomo». Addirittura oscillanti tra l’epico e il mistico i titoli scelti per alcuni dei suoi libri, come L’uomo che non credeva in Dio, piuttosto che Incontro con io. Eppure da sempre Eugenio Scalfari è considerato il Nume tutelare della Sinistra italiana. Oggi Si parla spesso dell’anomalia di Silvio Berlusconi, il tycoon che crea un partito da un’impresa mediatica. Ma nello schema bipolare faticosamente emerso dopo sedici anni di travagliata transizione, anche l’altro polo è in larga parte creatura di un blocco mediatico: forse non dal punto di vista organizzativo, ma certamente da quello ideologico-identitario. Un’élite ristretta ma con una cultura politica fortemente strutturata è riuscita infatti via via prima a creare una moda; poi a contaminare alcune forze politiche; infine letteralmente a impadronirsene, dettandone il completo rifacimento. Lo strumento che è stato costituito per effettuare quest’operazione è proprio il quotidiano Repubblica fondato da Scalfari.

Se volete capire come sia nata questa macchina da battaglia con rotative, che a sinistra ha ormai molto più potere dei partiti tradizionali, potete leggere: Il partito «Repubblica» di Maurizio Stefanini (Boroli editore).

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