Anouk Aimée legge i «ritratti» di Moravia

Sarà anche vero che or­mai, a teatro, i divi non esi­stono più. Ma certo l’atmo­sfera d’emozionata attesa che in questi giorni anima Spoleto, smentisce: l’immi­nente arrivo di Jeanne More­au e Anouk Aimée al cin­quantaquattresimo Festival dei Due Mondi, è in tutto e per tutto quello delle dive di razza. La ressa ai botteghini per i biglietti delle perfor­mances delle due gloriose mesdames, infatti, non è tan­to giustificato dall’interesse per i loro spettacoli, quanto dall’allure che aureola le ce­lebri primedonne. Sabato 26 al Teatro Romano la miti­ca interpete di Jules e Jim proporrà una versione drammaturgica della prima opera letteraria di Jean Jenet, Le condamné à mort . È la storia della passione omosessuale di un galeotto per un compagno di cella ­ispirata a quella autentica di Maurice Pilorge, che nel 1939 venne decapitato per aver ucciso, ufficialmente a scopo di rapina, il proprio amante - e Jeanne Moreau la narrerà in scena sulla ba­se delle musiche (eseguite dal vivo con chitarra, violon­cello e basso) di Etienne Daho. Ugualmente lettera­ria l’occasione offerta dalla fulgida eroina di Un Uomo, una donna : in Alberto Mora­via (di scena al Caio Melisso il 1 luglio) Anouk Aimée leg­gerà, infatti, alcuni fra i nu­merosi ritratti femminili di­segnati dal romanziere ita­liano. Il fatto che entrambi gli spettacoli siano in france­se (una volta i due mondi del Festival erano Italia e America; oggi, con la guida di Giorgio Ferrara, direttore dell’Istituto Italiano di Cul­tura a Parigi, sono diventati Italia e Francia) non sembra aver scoraggiato gli spettato­ri. Anche perché entrambi i recital, oltre che raffinato in­trattenimento culturale, co­me spesso capita a Spoleto saranno anche due occasio­ni glamour. Per gli intendito­ri giocherà certo l’interesse per il testo giovanile di Jenet (che risale al 1942, e non è stato mai portato in scena); nel caso di Moravia, invece, potrebbe scattare il rinnova­to interesse per un autore che negli ultimi anni di vita era considerato un gigante assoluto, «ma il cui nome è, nel frattempo, precipitato nell’oblio-come ha di recen­te dichiarato la compagna e musa Dacia Maraini - . Se­nonchè anche per lui, come per molti grandi, sta succe­dendo di tornare alla ribalta dopo un periodo di offusca­mento ». Per tutti gli spettato­ri, però, la curiosità sarà so­prattutto quella di verificare dal vivo quanto il fascino del­le due leggendarie protago­niste - classe 1928 la More­au, 1932 la Aimée - resti in­tatto.

Prediletta da maestri assoluti come Malle, Truf­faut, Antonioni, Godard, Welles, Bunuel e Losey, la Moreau lavora ancora mol­tissimo. Più appartata inve­ce la Aimée, che nel ’67 fu candidata all’Oscar per Un uomo, una donna , e forte­mente voluta da Fellini per La dolce vita e Otto e mezzo .

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