da Roma
Quando Romano Prodi sedeva alla presidenza dellIri considerava tutte le aziende del gruppo un po sue. Il suo ruolo di dominus non era sempre gradito allestablishment democristiano e a quello socialista.
Nella notte tra mercoledì e giovedì a Palazzo Chigi si è consumata sulla cessione Alitalia una tragicommedia analoga a quelle che lo stesso premier aveva già vissuto negli anni 80 quando stava dallaltra parte della barricata, con la differenza che il presidente della compagnia Prato era assente. Anche se al ministro dello Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, la parola «spaccatura» non piace, quello che si è consumato nel vertice notturno assomiglia molto a una delle solite fratture in seno alla maggioranza.
Prodi, Padoa-Schioppa e il sottosegretario al Tesoro Massimo Tononi (ex Goldman Sachs) hanno perorato la causa dellalleanza con Air France, mentre il ministro dei Trasporti Bianchi e il vicepremier Rutelli hanno sostenuto con forza la tesi dellitalianità e quindi della cordata Ap Holding stoppando la fuga in avanti. Il ministro Bersani, pur favorevole al «radicamento», ha preferito leggere le carte e comprendere quali siano i punti di forza di entrambi i piani. Lassenza dellaltro vicepremier DAlema si è fatta sentire perché avrebbe potuto spendere unaltra parola a favore di Toto e di Intesa Sanpaolo.
Cè un problema: il capo dellesecutivo avrebbe di fatto «promesso» al presidente francese Nicolas Sarkozy tutta Alitalia (e qui riaffiorano le antiche abitudini Iri). In questa direzione, secondo quanto riferiscono alcune indiscrezioni, avrebbe pure lavorato lex presidente Enac, Alfredo Roma, ora responsabile del progetto Galileo per conto della presidenza del Consiglio. Ma cè un pezzo consistente della maggioranza e tutto il sindacato (già indispettito dal capitolo contratti) che remano contro.
Certo, si potrebbe sempre ricorrere al meccanismo della contro-Opa per aprire le porte a Parigi, ma Prodi vuole giocare sul velluto. Di qui la retromarcia: «Scadenze legali non ce ne sono, esamineremo la questione al prossimo Consiglio o dopo». Ciò significa che il cda di Alitalia di martedì avrà poca rilevanza perché i ministri si riuniranno alla fine della prossima settimana. E in quella sede, il premier, come ha fatto altre volte, potrà ripetere il solito copione basato sul canovaccio «O si fa come dico io o le elezioni» che di norma spaventa i riottosi.
Il governo, però, non ha le mani libere. Il piano di rilancio di Alitalia, chiunque la compri, prevede lacquisto di nuovi aeromobili e sia Boeing che Airbus, i maggiori produttori mondiali, hanno già iniziato a fare attività di lobby.
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