Antonietta dei miracoli bagna di lacrime la sua medaglia d’oro. Lacrime così belle come di rado ne avrete viste. Lo sport ogni tanto ti aiuta a credere nella giustizia della vita. Chissà quanti chirurghi ed ortopedici, quante sale d’aspetto e stanze d’ospedale, dovrebbero innalzare il gran pavese per celebrare la vittoria di questa ragazza passata attraverso trappole, discese e risalite. Chissà quanti muri bianchi sorrideranno. Non per le battute di Antonietta Di Martino, che soffriva, sdolorava, non mollava con il suo credere, ma per quell’oro, primo della carriera nel salto in alto, che poi è la specialità di ripiego dopo aver faticato con giavellotto ed heptathlon.
Stavolta nostra signora di Cava de’ Tirreni, adottata dalle Fiamme Gialle, ha acchiappato l’occasione, questa davvero d’oro, che la sorte ha voluto regalarle. Oro agli europei Indoor, come lo fu Sara Simeoni, 26° della serie made in Italy. Parigi val bene una messe (d’oro). Antonietta raccoglie nel Palais Omnisport di Bercy, ci dice che il mondo è rosa solo se lo guardiamo con gli occhi di queste ragazze abituate ai trabocchetti dei muscoli. Simona La Mantia e Antonietta potrebbero scrivere libri di testo. La Di Martino ieri ha riassunto: «Così è più bello, dopo tanto soffrire, c’è più soddisfazione. Adesso comincio a capirlo, mi hanno dato per finita tante volte ed invece eccomi qui».
Stavolta Antonietta dei miracoli ci ha spiegato come si vince una gara che non puoi (non devi) perdere. L’argento dei mondiali di Osaka 2007 (oltre a quello degli europei indoor sempre nel 2007 a Birmingham), pareva il massimo per una ragazza che salta in alto, in controtendenza con l’altezza fisica. La differenza fra i suoi centimetri (m. 1,69) e quelli che scavalca è abissale. Ieri è arrivata a 2,01, forte del recente 2,04.
In gara non c’erano la tedesca Freidrich, campionessa uscente a Torino, e la superba croata Vlasic, due superwoman della specialità. Antonietta non ha concesso nulla all’avversità. Il salto in alto è specialità traditrice: in un nonnulla basta un refolo, un millimetro di errore e l’asticella ti condanna. La Di Martino è passata sempre al primo salto, il marito allenatore, Massimiliano Di Matteo, non ha avuto bisogno di sfiorarla con parole dolci: i due hanno trovato intesa nel dolce e nel brusco. Lo ha spiegato di recente: «Se ci diciamo cose forti, poi facciamo pace. Una cosa sono gli allenamenti, un’altra la vita». Il racconto è esaltante: m. 1,82, poi 1,87, 1,92, 1,96 passati al primo salto. Mentre le altre si scollavano, compresa la russa Shkolina, l’avversaria peggiore. All’1,96 Antonietta era già d’oro, la spagnola Beitia argento e la svedese Jungmark bronzo. «A quel punto volevo una misura che onorasse la medaglia. Ho scelto m.
2,01, come la Friedrich per vincere a Torino. Avrei dato valore all’impresa». Ce l’ha fatta al secondo tentativo, poi ha provato i 2,03. Troppo.Ma che importa? Antonietta è salita dieci volte oltre i due metri. Stavolta ci ha scoperto anche una nicchia.
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