Controcultura

Appassisce anche «Il nome della rosa»

Riprendendo in mano quel romanzo così bello, così fortunato, viene da pensare che Umberto Eco l'avesse scritto non per un trattamento lineare - la trama di un film in due ore o poco più - ma ipotizzando sviluppi incrociati, digressioni, uscite dalla vicenda principale, senza sapere che le serie televisive (esistevano anche nel 1980 e si chiamavano sceneggiati) sarebbero state le forme ideali del passaggio da parola scritta a immagine. Il nome della rosa è composto da oltre 700 pagine con tante storie e tanti personaggi: la letteratura postmoderna, quasi quarant'anni dopo, con le sue confusioni e ambiguità spazio-temporali, ispira dunque la serie in quattro puntate diretta da Giacomo Battiato, un esperto di riduzioni dal testo al piccolo schermo, trasmessa il lunedì su Rai 1. Girato in inglese, con un cast importante, una produzione che ambisce a bissare il successo del film di Jean-Jacques Annaud attraverso la distribuzione internazionale.

Però John Turturro non è Sean Connery; il nuovo Guglielmo da Baskerville ha l'espressione fissa, non usa l'ironia e il sarcasmo del sempiterno Bond, avendo parecchio tempo a disposizione insiste con tirate logorroiche. Va bene il metodo deduttivo alla Sherlock Holmes, ma senza esagerare con i pipponi. E Adso, il suo «giovane Watson»? Il belloccio Damian Hardung è tanto sicuro di sé e della propria vocazione da rifiutare (a pochi minuti dall'inizio del film) le grazie di una avvenente fanciulla. Ma in che mondo viviamo, ragazzi? Rupert Everett è il cattivo, accigliato e contorto, Greta Scarano, gettonatissima, si prende addirittura un doppio ruolo senza mai incidere nel personaggio, così scialbetta e di poca personalità. Funziona meglio con i gregari, qui ridotti al rango di caratteristi, da Fabrizio Bentivoglio ad Alessio Boni passando per la straordinaria faccia rugosa di Roberto Herlitzka. Generazioni di buon cinema italiano.

La nuova edizione de Il nome della rosa ha però il problema Game of Thrones. Ovvero la serie record che vanta milioni di appassionati al mondo e che ha cambiato per sempre il genere fantasy mescolandolo con la storia, l'orrore, il sesso, la violenza. Ogniqualvolta ci imbattiamo in una fiction in costume il paragone viene spontaneo, senza contare i vari Borgia e Medici che hanno sfruttato l'onda lunga del successo del mitico Trono di spade.

Rispetto a questi prodotti, la nuova versione tratta da Umberto Eco risulta noiosa, poco brillante, decisamente meno attraente del film del 1986. Molto buoni i risultati della prima puntata, quasi il 28 per cento di share, a dimostrazione che la memoria di quel libro tira ancora. Successo di pubblico, insomma, meno di critica, in buona parte concorde nel dire che per un colossale all'italiana (un tempo eravamo autentici specialisti) si poteva fare di più. Quando si conosce la storia, si sa già il finale, contano soprattutto i dettagli. E i dettagli dell'opera di Giacomo Battiato sono belle location, paesaggi mozzafiato, scene di massa.

Il resto, così così.

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