Appello bipartisan: «Riforme insieme»

da Milano

Più bipartisan di così si muore. Ci sono dentro tutti: progressisti e conservatori, marxisti e liberali, laici e cattolici, federalisti e centralisti. Divisi ma anche uniti, alla ricerca di punto di contatto, di una sintesi, di un idem sentire. Follia? Inciucio? Neoconsociativismo? O solo voglia di dialogo, di intesa?
Da anni, fuori dal Palazzo, deputati e senatori di ogni schieramento hanno creato veri e propri «pensatoi» in cui si macinano idee, si elaborano scritti, si organizzano convegni, si mettono in piedi dibattiti, si forgiano think tank. Destra, sinistra, centro. In fondo ci si rispetta tutti, con la convinzione di lavorare per il supremo «bene del Paese». Si è creato un vero e proprio network di Associazioni e Fondazioni: teste pensanti che propongono soluzioni a quel groviglio inestricabile che è la politica. Oltre 280 parlamentari fanno parte di questo «intergruppo»; che sarà anche un termine orrendo, ma rende bene l’idea di quanto sia trasversale.
C’è la Fondazione per la Sussidiarietà dell’ex presidente della Compagnia delle opere Giorgio Vittadini. C’è la Fondazione Italianieuropei, fortemente voluta da Massimo D’Alema e Vincenzo Visco. C’è la Fondazione Europa e civiltà, presieduta dal governatore della Lombardia Roberto Formigoni. C’è la Fondazione Magna Carta, creata da Marcello Pera e diretta da Gaetano Quagliariello. C’è la Fondazione Nuova Italia, guidata dall’aennino Gianni Alemanno. C’è la Fondazione Mezzogiorno Europa, istituita da Giorgio Napolitano e Andrea Geremicca. C’è l’Associazione Eunomia di Enzo Cheli e Dario Nardella. C’è l’Associazione Nens di Pier Luigi Bersani e Vincenzo Visco e la Fondazione Craxi, costituita dalla figlia di Bettino, Stefania.
Insomma, ci sono un po’ tutti. E tutti hanno deciso di sottoscrivere un documento in vista delle prossime elezioni politiche. È una sorta di appello a se stessi e agli altri onorevoli colleghi in cui si piazzano dei paletti: «Facciamo che le riforme istituzionali si fanno insieme». Una questione di metodo per sotterrare definitivamente il «a colpi di maggioranza». Buonismo? O seria volontà di evitare le entrate a gamba tesa sulle regole del gioco della politica? In fondo le riforme a stretta maggioranza, si dice nel documento, non piacciono a quasi otto italiani su dieci. E ancora, sempre stando a un recente sondaggio effettuato dalla Fondazione per la Sussidiarietà, gli italiani chiedono con forza l’elezione diretta del premier (76%) e il voto di preferenza (89%).
Altro impegno solenne: modificare i regolamenti parlamentari immediatamente. Anzi, questo dovrebbe essere il primo atto delle nuove Camere. La «sussidiarietà» è un po’ la parola magica del documento.

Nel quale si dice che «perché non si tratti di una semplice dichiarazione di princìpi è necessario che si attui un reale federalismo fiscale; un federalismo differenziato nel quale chi è in grado di reggersi sulle proprie gambe possa andare da solo mentre chi è più indietro possa essere aiutato a crescere».

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