Politica

Appello dall’Irak: «Non ritirate le truppe italiane»

«I militari sono necessari, il nostro esercito non è in grado di controllare la situazione»

da Milano

I leader iracheni chiedono a Romano Prodi di non ritirare le truppe italiane, perché la situazione è troppo instabile e le forze irachene non sono ancora in grado di controllarla.
«Speriamo che le truppe italiane restino in Irak fino alla sconfitta del terrorismo e al completamento dell’addestramento delle nostre forze», dichiara a Bagdad Ridha Jawad Taqi, portavoce del Consiglio supremo della rivoluzione islamica (Sciri), il maggior partito sciita, al potere in Irak. «Speriamo che i rapporti siano più forti e la cooperazione maggiore tra i due governi e i due popoli nella lotta al terrorismo. Poi le forze italiane potranno andare a casa con i nostri ringraziamenti e la nostra gratitudine», ha aggiunto.
«Nessun iracheno vuole vedere il ritiro delle truppe italiane nelle attuali condizioni, perché avrebbe un impatto negativo. Le forze irachene, polizia ed esercito non sono in grado di proteggere il Paese», spiega Mohammad Jasem Labban, membro dell’Ufficio politico del Partito comunista iracheno. «Noi comunisti chiediamo a Prodi di lasciare i soldati finché risolviamo la questione del terrorismo e poniamo fine alla sua minaccia in Irak», conclude.
Il portavoce del presidente Jalal Talabani non vuole fare commenti su una «questione interna», ma auspica che «l’impegno italiano di aiutare l’Irak continui».
Le preoccupazioni della dirigenza irachena riecheggiano sulla stampa araba, che ha ricordato per le elezioni italiane il fenomeno Zapatero, il primo ministro spagnolo che appena eletto nel marzo 2004 ordinò il rientro delle truppe. E la situazione in Irak è talmente caotica che i leader hanno terrore di essere abbandonati a una guerra civile. Agli atti terroristici dei sunniti rispondono le quotidiane esecuzioni sommarie delle squadre della morte sciite. E sul campo politico, il primo ministro sciita Ibrahim Jaafari, si rifiuta di rinunciare all’incarico e di scendere a compromessi, malgrado curdi e sunniti lo abbiano sfiduciato. Ma la sua situazione appare estremamente delicata e il suo premierato sembra avere i giorni contati.
A quattro mesi dalle seconde elezioni legislative, dopo il crollo del regime di Saddam Hussein nel 2003, gli iracheni sono senza un governo e ogni giorno si debbono confrontare con un bollettino di guerra. Ieri dieci persone sono morte nell’esplosione di una bomba su un minibus a Sadr City, il poverissimo quartiere sciita di Bagdad. Tre soldati iracheni sono stati uccisi a Mossul, dove sono stati trovati i cadaveri di due civili.

E il ministero dell’Istruzione ha reso pubblico che in tre anni sono stati uccisi 92 professori universitari, mentre 300 hanno lasciato il Paese sotto la spinta di minacce.

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