Appello di Obama contro la Birmania, ma a elezioni già finite

Un tempo i diritti umani sembravano il pane di Obama. Appena arrivato alla Casa Bianca promette la chiusura di Guantanamo. Subito dopo spinge per l’entrata degli Usa nel Consiglio dei Diritti Umani, il consesso dell’Onu in cui siedono - tra gli altri - Birmania, Sudan e Zimbabwe. Come dire il peggio del pianeta in termini libertà civili. Ma la cattive compagnie non scandalizzano il presidente. L’America, sostiene, deve star lì per esercitare un’influenza positiva. Il risultato non sembra incoraggiante. A dimostrarlo contribuisce il tardivo, inutile e sconclusionato appello per la liberazione di Aung San Suu Kyi. «Per troppo tempo al popolo birmano è stato impedito di decidere il proprio destino. Rinnoviamo alle autorità la richiesta di liberare Aung San Suu Kyi e tutti gli altri prigionieri politici immediatamente ed incondizionatamente – dichiara il presidente subito dopo l’arrivo in India spiegando che «le elezioni in svolgimento in Birmania non appaiono né libere, né giuste». Ma mentre Obama parla quelle elezioni sono - appunto - in pieno svolgimento. E da tempo si sa che la giunta birmana non ha intenzione di liberare San Suu Kyi. E allora a che serve l’appello? Occorre attendere l’ultimo minuto per realizzare che la paladina della libertà birmana - premiata 19 anni prima di Barack Obama con il Nobel per la pace – è da un decennio sepolta viva nella sua casa di Rangoon? Bisogna arrivare in India per far capire che la Casa Bianca non crede a quell’elezione farsa? Un voto dove un quarto dei seggi è per i militari è già un bluff. Un’elezione in cui gli unici a poter fare campagna sono i candidati dei generali è solo una farsa. Un suffragio in cui la vincitrice delle uniche elezioni libere degli ultimi 20 anni è stata sepolta viva è un insulto.
In verità l’appello fuori tempo massimo di Obama serve solo a far pressione sull’India, un paese che con la Cina continua - nonostante le sanzioni - a usare la Birmania come mercato a basso costo per l’approvvigionamento di gas, legnami pregiati e pietre preziose. Il tour asiatico del presidente è soprattutto un viaggio d’affari studiato per rilanciare l’economia in crisi degli Usa. Far sentire all’India il peso dei suoi legami con i dittatori birmani serve a convincerla ad avviare rapporti commerciali puliti con l’America. Ma questo porta assai poco giovamento a San Su Kiy e all’opposizione democratica birmana. Grazie alle elezioni i generali di Rangoon potranno invocare la democrazia e continuare a governare. E visto che molti sostenitori di San Su Kiy l’hanno abbandonata rifiutando l’embargo e aderendo alla farsa elettorale la giunta potrebbe anche prendersi il lusso di liberarla.

In fondo una volta passato Obama, una volta concluso l’esercizio delle urne, una volta fallito quel boicottaggio da lei proclamato San Suu Kyi si ritroverà sempre più sola. Liberarla diventerà per i generali la dimostrazione della sua sconfitta. Dell’inutilità delle sanzioni. Dell’indifferenza del mondo libero.

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