Cristiano Gatti
Ad un certo punto della vita, ad un certo punto dei conti in banca, in qualche ricco scatta inevitabile la domanda di sempre: mi vogliono tutti così bene per quello che sono o per quello che ho? Novantanove su cento preferiscono non sapere, godendosi tranquillamente lo straripante consenso che suscitano presso lumanità. Ma ogni tanto qualcuno non resiste alla curiosità, e come un astuto giocatore di poker decide di andare al «vedo». Ecco: per chi eventualmente fosse ansioso di conoscere la risposta all'eterno dilemma, un magnate russo (figura emergente della storia contemporanea: ormai il mondo pullula di magnati russi) è in grado di fornire un'attendibile risposta. È andato al «vedo», ne ha viste di tutti i colori.
Semplice e fantasiosa come un classico di Walt Disney, profonda e allegorica come I miserabili di Hugo, la storia è raccontata a un giornale russo, la Komsomolskaia Pravda, dallo spione di un'agenzia specializzata nel soddisfare tutti i desideri, anche i più strambi, dei famosi magnati russi. È uno di questi anonimi riccastri che ad un certo punto decide di fare chiarezza sul suo prestigio e sulla sua popolarità, ricorrendo al più infantile ed elementare dei trucchi: guardare dal buco della serratura il proprio funerale. Finto. Proviamo a morire, si dice eccitato, e vediamo l'effetto che fa.
Con l'aria che tira nella Russia d'oggi, organizzare un decesso, vero o finto, è l'ultimo dei problemi. Se ne organizzano ogni giorno a ritmo sostenuto, per la verità più veri che finti. Al nostro miliardario capita di cadere sotto le pistolettate di uno spietato sicario, ovviamente interpretato da un attore. Per la cronaca, la vittima del vile agguato non muore del tutto: diciamo al novantotto per cento. In un clamore di sirene, viene così trasportato al pronto soccorso, naturalmente «noleggiato» per l'occasione. Qui, entrano in scena medici compiacenti (i magnati russi si comprano Schevchenko dalla sera alla mattina, figuriamoci se hanno problemi a noleggiare qualche medico del pronto soccorso). Con l'aria costernata e contrita, l'équipe convoca la moglie del magnate - trattandosi della moglie di un magnate russo, inevitabilmente bellissima - e con parole adeguate l'avverte di prepararsi a diventare vedova. Suo marito è in coma irreversibile, spiegano: decida lei se vuole staccare la spina.
È a questo punto che il curiosissimo miliardario ottiene la prima risposta cercata: senza nemmeno piangere tantissimo, in pochi minuti la sua signora prende la tremenda decisione, non proprio quella sperata da lui. Avanti, stacchiamo. E non è finita qui. Nel giro di mezz'ora, la povera salma si trova al capezzale il migliore amico, nonché socio in affari: dal trasporto con cui il tizio manifesta cordoglio alla vedova, il finto defunto non può esimersi dal capire che i due sono chiaramente amanti, alla faccia sua e del suo incalcolabile patrimonio. Scena tristissima. Da come sta messa la situazione, da come s'è scavato la fossa, il magnate non può nemmeno aggrapparsi alla fatidica frase degli uomini smarriti davanti a certe notizie indigeste, quella che lui stesso avrebbe detto prima del decesso di fronte a qualche chiacchiera sulla fedeltà di sua moglie: non ci credo neanche morto.
Poi si sa com'è la vita quando deve rivelare i suoi segreti: non bada a spese, non risparmia sulle brutte notizie. Mentre all'ospedale vanno in frantumi un matrimonio e una società per azioni, in azienda c'è il resto. Anche il fidatissimo segretario personale partecipa al lutto, vuotando la cassaforte in un amen. Quanto ai quadri dirigenziali, avviano subito trattative con la concorrenza per passare pure loro a miglior vita.
Due giorni. Bastano due giorni per avere tutte le risposte necessarie. Parlandone da vivo, l'amatissimo magnate è praticamente circondato da un branco di avidissime iene. Anche in questo caso, confermata la regola: uno non fa neppure in tempo a morire, che già si spartiscono la memoria. Quando aleggiano certe fortune, dietro le lacrime non si nasconde il dolore per un vuoto incolmabile, ma la commozione per una felicità improvvisa. Non sempre: solo molto spesso.
Da qui un'altra eterna domanda, anch'essa sempre incombente sui destini dell'uomo: meglio conoscere la verità, oppure meglio andare avanti nella grande recita dell'esistenza, almeno finché dura, almeno finché gratifica? Vai a sapere. C'è tutto il partito dell'occhio non vede e cuore non duole, con le sue buone ragioni. Ma il magnate moscovita, tanto amato quanto morto, non è di questa corrente: per amara che sia, confessa convinto, preferisce comunque la verità. Non è pentito, rifarebbe tutto. Rimetterebbe in piedi la plateale e rovinosa rappresentazione del suo trapasso, andrebbe sereno incontro alle brutte notizie, pur di togliere il velo alle subdole ipocrisie che allietavano la sua esistenza. Bravo, ma lento.
Cristiano Gatti
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