Ci sono lettori che verso loggetto libro hanno una sorta di venerazione; altri, la maggior parte, un vero e proprio rapporto fisico, quasi carnale. Da qui siamo partiti per chiedere ad alcuni scrittori italiani come vivono la lettura. In questo viaggio di carta le stravaganze non mancano: ci sono i «casanoviani», che i libri li corteggiano con quelle attenzioni che di solito si riserbano alle donne, e ci sono i «cannibali», scrittori per i quali il libro va vissuto ai limiti del maltrattamento.
Giampiero Mughini, ad esempio, è un «casanoviano»: «Ho un rapporto erotico con la carta e linchiostro - dice -. Trovo segni e sottolineature operazioni barbariche. Anche perché, e forse in molti non se ne sono ancora accorti, cè una stupenda e utilissima innovazione tecnologica: si chiama segnalibro». Dello stesso avviso Tullio Avoledo, che con i libri ha un rapporto di assoluto - quasi maniacale - rispetto: «Il novantanove per cento dei libri della mia biblioteca potrebbero venire esposti sugli scaffali di una libreria e venduti come nuovi. Come li compro, la prima cosa che faccio è copertinarli con un foglio di carta formato A3, in modo da non rovinarli. Ma uso anche fogli di giornale, carta da pacchi, o qualsiasi materiale cartaceo abbia a disposizione. Una volta, in mancanza daltro, ho usato addirittura le pellicole trasparenti da cucina». Filippo Tuena, neo vincitore del Premio Bagutta con il romanzo Le variazioni Reinach (Rizzoli), racconta di non avere vezzi particolari... «Una volta sottolineavo a matita. Poi, rileggendo a distanza di anni quelle sottolineature mi sono spesso chiesto perché avessi evidenziato quelle frasi e non altre. Così ho smesso. Piuttosto, i libri che hanno una rilegatura sgradevole al tatto, li rivesto di carta oleata, di grammatura fine, piuttosto rara da trovarsi qui in Italia. La migliore la acquisto a Friburgo.
Ancora. Giulio Mozzi confessa di essere un distruttore di libri: «Faccio angoli, sottolineo, segno con frecce asterischi e stelle. Ho una mia simbologia. Diciamo che mi manca il feticismo del libro, ma tengo i miei libri in rigoroso ordine. Una parte nello studio (mi servono), una parte in casa (non ci sono solo io), una parte in garage (tanto non ho lautomobile)». E la cantina è il luogo dove finiscono anche molti libri spediti a Sebastiano Vassalli, che ha appena pubblicato Amore lontano (Einaudi): «La maggior parte dei libri che mi arrivano non mi interessano, li ignoro, e la collocazione cantina mi sembra adatta. Quelli della mia biblioteca, invece, sono sacri: non li sottolineo, non mi va di imbrattarli. Prendo appunti soltanto nella prima pagina bianca, quella che precede il frontespizio: lì annoto richiami e promemoria e rimandi alle pagine o ai passaggi che più mi hanno colpito».
Un procedimento, di geometrica poesia, che è molto simile a quella adottata da Paolo Di Stefano, autore del nuovo Aiutami tu (Feltrinelli): «Segno i punti chiavi nelle prime e nelle ultime pagine bianche. Lì strutturo una sorta di indice tematico: personaggi, temi, stili sono tutti annotati secondo il numero di pagina». Gad Lerner è invece convinto che appuntare direttamente sui libri possa essere una testimonianza da tramandare ai posteri: «Credo che la lettura sia più intensa se scatta un rapporto quasi fisico: per questo segno e sottolineo i libri che più mi interessano. Nelle ultime pagine, quelle bianche, prendo appunti. Spero che i miei figli non si offenderanno: è una sorta di eredità e si potranno confrontare con il mio pensiero sullautore».
Particolare, poi, il caso di Giancarlo De Cataldo, in questi giorni a Parigi dove è impegnato nella promozione delledizione francese del suo Romanzo criminale: il suo rapporto con i libri è addirittura motivo di odio familiare. «Detestano come li tratto - spiega -: io tendo a sottolineare, evidenziare, prendere appunti. In pratica una volta che ho letto un libro è impossibile che qualcun altro abbia anche soltanto la tentazione di avvicinarsi perché diventa illeggibile».
Un altro sottolineatore solitario è Antonio Moresco: i suoi libri, per parafrasare un suo titolo famoso sono Canti del caos. «Segno, prendo appunti su tutte le pagine e ai margini riporto le mie riflessioni. Mi capita soprattutto coi libri di saggistica: se battessi tutti gli appunti credo che da ogni libro letto ne verrebbe fuori un altro mio. Credo che sia giusto così: perché in fondo leggere è un dialogo con unaltra persona e gli appunti sono la mia risposta». Sarà un caso che il suo ultimo libro, edito da Fanucci, si intitoli Scritti di viaggio, di combattimento e di sogno? Dello stesso parere è Emanuele Trevi: «Confesso che molti volumi li prendo in prestito dalle biblioteche: è vietato riconsegnarli sottolineati. Così ricopio su un quadernetto appunti che, col tempo, diventano incomprensibili. I miei libri, invece, li maltratto: perché credano che vadano vissuti».
Ivan Cotroneo, da parte sua, confessa di avere un rapporto molto fisico: «Proprio per questo non sono rispettoso con i miei libri, come con le cose e le persone che amo». Luca Di Fulvio - autore noir e di quella Scala di Dioniso (Mondadori) che Gabriele Salvatores porterà a breve sul grande schermo - è un serial killer della carta: «Le pagine sono consunte, macchiate, scarabocchiate. Riflessioni scritte con penne di colori diversi, a volte riflessioni sulle riflessioni, a distanza di anni, che mostrano non solo levolversi del pensiero ma anche della calligrafia. Inizio da sopra, nel poco bianco che separa il bordo della pagina dalla prima riga stampata e poi proseguo di lato, di sotto (rivoltando il libro) e di nuovo di lato e poi una freccia che porta alla pagina successiva e così via, come un lungo serpente di parole, come un labirinto dinchiostro». E per Raul Montanari «il libro è un fantastico supporto di lettura da sfogliare, maltrattare, piegare, appuntare, gli si può fare di tutto e lui non protesta, anzi si carica di gloria e memoria! Di solito quando leggo sottolineo a penna o a matita, semino punti esclamativi e interrogativi, scribacchio oppure copio a parte. Che tristezza i libri che dopo una lettura sembrano ancora intonsi! Che gusto da museo o da obitorio lasciarli così, senza grinze nemmeno sul dorso!».
A tirare le somme, o meglio a sottolineare, Ernesto Ferrero, presidente della Fiera del Libro di Torino: «Ho con il libro rapporti fraterni, carnali, erotici, fatti di dimestichezza e abbandono totale, perché in amore tutto è lecito. Leggo con la matita, faccio segni, note e orecchie dappertutto. Perché il libro è quanto di meglio possiamo augurarci. Dà tutto e non chiede niente».